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Anisakis e Anisakiasi

COSA SI INTENDE PER ANISAKIS E ANISAKIASI?

L’anisakiasi è l’infezione causata da vermi nematodi del genere Anisakis Simplex, le cui larve di primo stadio parassitano molte specie di crostacei planctonici per poi passare, nelle successive fasi di sviluppo, in diversi pesci marini.

 

L’uomo si contagia consumando pesce (crudo o affumicato o salato) parassitato dalle larve di terzo stadio che, nel pesce, si localizzano a livello di fegato, mesentere (tra intestino e parete dell’addome) e gonadi, ma anche nel tessuto muscolare.

 

I pesci più a rischio sono aringhe, merluzzi, sgombri e sardine, per quanto larve di anisakis simplex siano state rilevate anche nei salmonidi alimentati con pesci marini non controllati e risanati.

 

L’incidenza di questo fenomeno appare in progressivo incremento rispetto al passato, soprattutto grazie all’affinamento delle tecniche diagnostiche e all’approfondimento dell’esperienza clinica ed immuno-allergologica in materia.

 

Ad oggi sono stati riportati oltre 20.000 casi di anisakiasi riscontrati in tutti i continenti, per quanto più significativamente rilevati nei paesi asiatici dov’è notoriamente invalsa l’abitudine al consumo ordinario di prodotti ittici crudi o poco cotti.

 

 

L’ORIGINE E LE CAUSE DELL’ANISAKIASI

La prima segnalazione ufficiale di anisakiasi fu riportata nel 1960, in Olanda, da Van Thiel che attribuì ai parassiti marini della famiglia “Nematoda” (dal greco: νῆμα, nema=filo ed -εἰδής, -eidès=forma) la responsabilità di una reazione flemmonosa sviluppatasi in un paziente colpito da dolore addominale acuto.

 

La malattia si contrae per ingestione di pesce di mare crudo o poco cotto. Le larve penetrano nella mucosa del canale gastrointestinale, causando dolore addominale e talvolta vomito. Nei soggetti che subiscono l’infezione possono anche insorgere reazioni allergiche causate dall’attivazione di risposte immunitarie nei confronti dei nematodi intestinali.

 

Ai fini della prevenzione, la normativa Europea e la Food and Drug Administration americana raccomandano il congelamento, a -20°C per almeno 7 giorni ovvero a -35°C per almeno 15 ore, del pesce eventualmente destinato al consumo crudo.

 

 

I SINTOMI DELL’ANISAKIASI

L’infezione da anisakis simplex nell’uomo, che può decorrere in forma acuta o cronica, è potenzialmente in grado di generare quattro diverse condizioni cliniche:

  1. La sindrome gastrica;
  2. La sindrome intestinale;
  3. La sindrome extra-gastrointestinale o ectopica;
  4. La sindrome allergica.

 

La forma gastrica e quella intestinale, clinicamente evidenti dalle prime 12 ore e fino a 7 giorni dopo l’ingestione di pesce crudo, sono caratterizzate sul piano sintomatologico da dolori di stomaco progressivamente montanti e associati a turbe digestive con nausea, vomito, talvolta febbricola.

 

D’altro canto, la forma extra-gastrointestinale è determinata dalla migrazione della larva di anisakis simplex verso la cavità peritoneale e/o pleurica o verso il fegato dell’uomo parassitato, dopo perforazione della parete gastrointestinale ad opera del dente perforante cuticolare di cui il parassita è dotato.

 

Seguiranno il rilascio di proteasi e sostanze anticoagulanti, a loro volta responsabili delle lesioni erosive ed emorragiche solitamente rilevate nella mucosa gastrica e intestinale di pazienti infettati dal parassita.

 

Per quel che riguarda, infine, le reazioni immunoallergiche sostenute dall’anisakis simplex, sierologicamente tipizzate dall’incremento delle IgE totali e di quelle specifiche per l’anisakis, esse risultano clinicamente caratterizzate da fenomenologia orticarica talvolta associata ad angioedema, ma anche da oculorinite e/o broncospasmo e fino allo shock anafilattico. Sono pure descritte reazioni da ipersensibilità ritardata.

 

I soggetti sensibili possono manifestare fenomenologia reattiva anche solo manipolando pesce infetto non eviscerato o respirando allergeni che dal quel substrato si diffondono nell’aria, con margini di rischio in tal senso tanto più elevati quanto più riferiti a soggetti professionalmente impiegati nella filiera di trasformazione dei prodotti ittici.

 

Da recenti osservazioni emerge, tuttavia, che la rilevanza clinica della malattia possa dipendere, oltre che dall’entità dell’esposizione alimentare e/o professionale al parassita, anche da una peculiare suscettibilità genetica dell’individuo esposto.

 

È stata, infatti, rilevata l’esistenza di una correlazione fra l’allergia ad anisakis simplex e gli aplotipi genici DRB1*1502 e DQB1*0601 del Sistema HLA-II, giustificata dall’elevata frequenza di tali polimorfismi nella popolazione asiatica dov’è documentata una più significativa incidenza di anisakiasi.

 

 

LA DIAGNOSI DELL’ANISAKIASI

La diagnosi di anisakiasi, che naturalmente poggia sull’osservazione clinica dei sintomi, parte da un’accurata raccolta anamnestica finalizzata a verificare l’eventuale ingestione di prodotti ittici a rischio.

 

La diagnosi di certezza solitamente non è agevole, potendo essere definita solo con l’identificazione del verme nei tessuti prelevati mediante biopsie endoscopiche.

 

All’esame istologico si rileva, generalmente, un’infiltrazione eosinofila della mucosa gastrointestinale, con ascessi microscopici e cellule giganti. Non è d’aiuto nemmeno l’esame radiologico, in quanto non fornisce riscontri specifici.

 

Per quel che riguarda, invece, le forme allergiche, l’esecuzione dello Skin Prick Test, come indagine di “primo livello”, è utile per rilevare la presenza di specifica sensibilizzazione attraverso l’induzione, nei soggetti sensibili, di una pronta reazione cutanea mediata dalle IgE.

Il “secondo livello” prevede la ricerca ed il dosaggio, attraverso diagnostica molecolare, delle IgE specifiche circolanti dirette contro le componenti allergeniche dell’anisakis in grado di indurre risposte immunologiche IgE-mediate, e principalmente rappresentate dagli antigeni “Ani s1” e Ani s3. E’, quest’ultima, una molecola tropomiosinica in grado di cross-reagire con altre tropomiosine.

 

È acclarata, in questo senso, la reattività crociata tra anisakis (antigene: Ani s3), acari (antigene: Der p10), gamberetti (antigeni: Pen a1, Pen i1, Pen m1) e scarafaggi (antigene: Per a7). Ne consegue che il paziente allergico agli acari, proprio in ragione della cross-reattività fra tropomiosine, può presentare allergie ai gamberi ed all’anisakis e, quindi, può manifestare sintomatologia allergica anche mangiando crostacei non infestati da tale parassita.

 

Inoltre, recandosi in luoghi ove è presente polvere ed escrementi di scarafaggi, può manifestare sintomatologia allergica di tipo respiratorio fino ad un attacco di asma bronchiale.

 

Significativo valore diagnostico è attribuito al test di stimolazione in vitro con antigene specifico standardizzato di Anisakis, eventualmente in grado di determinare, in caso di positività del test, la degranulazione dei basofili.

 

 

 

LA TERAPIA DELL’ANISAKIASI

L’anisakiasi può richiedere, in ragione delle sue multiformi espressioni cliniche, approcci terapeutici diversi.

 

Nelle forme infiammatorie croniche gastrointestinali con rilevate infiltrazioni granulomatose e microascessi ed in quelle extra-gastrointestinali, la terapia è solitamente di tipo chirurgico, ove la preliminare rimozione del parassita, mediante endoscopia, non abbia sortito effetti risolutivi.

 

Negli altri casi, invece, l’infezione generalmente guarisce ricorrendo ad uno specifico trattamento farmacologico con antielmintici, eventualmente associati a terapia sintomatica.

 

La prescrizione, insieme alla terapia convenzionale farmacologica/chirurgica, anche di una dieta appropriata che escluda tassativamente per il futuro una nuova assunzione di pesce poco cotto o crudo, è la sola strada che può consentire ai soggetti allergopatici di ottenere, intanto, un buon controllo dei sintomi ed una stabilizzazione del quadro clinico, ma anche di prevenire lo sviluppo di ulteriori sensibilizzazioni ad allergeni non necessariamente correlati a quelli del parassita.

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