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Gluten Sensitivity

Glutine e Atopia
il concetto della “Non Celiac Gluten Sensitivity” (NCGS)

Premessa

Tra i disordini correlati al glutine, si è recentemente aggiunta una nuova condizione patologica definita “Non-Celiac Gluten Sensitivity” (NCGS)(1), caratterizzata da sintomi non esattamente patognomonici di tale realtà. La NCGS, infatti, condivide il quadro sintomatologico anche con altre entità nosologiche come la Sindrome del Colon Irritabile (IBS), la Malattia Celiaca (CD), l’intolleranza al lattosio(2).

Si tende attualmente a definire “Non-Celiac Gluten Sensitivity” una condizione caratterizzata da un disordine immunomediato che risponda all’esclusione del glutine dalla dieta. Il concetto di “gluten sensitivity” ingloba, in realtà, una varietà di scenari patologici e clinici recentemente documentati, soprattutto nei familiari di pazienti celiaci, attraverso minime alterazioni immunopatologiche a carico dell’intestino in risposta all’esposizione al glutine(3).  Tali alterazioni sembrano includere una incrementata linfocitosi intestinale, un aumento delle IgA depositate sui villi, possibili cambiamenti a carico del brush border microvillare, una potenziale iperproduzione di anticorpi anti-gliadina. Tipicamente questo genere di disordini tende ad essere più evidente in individui portatori degli stessi genotipi HLA associati alla celiachia. D’altro canto, volendo attribuire all’esame istologico un ruolo significativo e probante nella diagnosi della NCGS, si è visto come una quota significativa di questi pazienti presenti una linfocitosi duodenale intraepiteliale, anticorpi antigliadina negli aspirati digiunali in assenza di anomalie istologiche o, anche, depositi di IgA nelle biopsie duodenali(4).

Inoltre, un aspetto particolarmente significativo della NCGS è rappresentato dalla sua significativa incidenza tra i soggetti allergici.

 

 

Fattori genetici

Il Sistema Immunitario svolge la sua funzione primaria di immunosorveglianza nei confronti degli agenti patogeni o tossici, fondamentalmente attraverso la sintesi di glicoproteine finalizzate a presentare, sulle membrane cellulari, una serie di peptidi antigenici necessari all’attivazione dei linfociti chiave nelle risposte immuni, sia umorali che cellulari. Tali molecole appartengono al sistema convenzionalmente definito Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC) che, nell’uomo, assume il nome di HLA (Human Leucocyte Antigens) in ragione delle prime osservazioni condotte sui leucociti.

In presenza di fenomeni patologici ad andamento cronico-recidivante, la produzione dei peptidi antigenici di membrana si attiva in forma anomala e prolungata. Ciò avviene nei soggetti interessati da fenomeni progressivi di sensibilizzazione e perdita di tolleranza verso specifici fattori scatenanti ambientali e/o alimentari, in corso di eventi infettivi ovvero in individui sottoposti a trapianto d’organo(5). Sono, dunque, da considerarsi affatto casuali le associazioni, peraltro statisticamente significative, tra le suddette anomalie di espressione e la trasmissione genetica dei comuni fattori predisponenti ai Disordini Infiammatori Immunomediati (IMIDs). Tali associazioni, per quanto al centro di irrisolte controversie inerenti la loro reale funzione, possono, d’altro canto, costituire un ausilio importante nella diagnostica delle più comuni forme infiammatorie e, come tali, rimanere una chiave privilegiata di lettura delle più innovative ed approfondite attività di indagine e ricerca(6).

Il coinvolgimento diretto del sistema HLA nelle patologie immunomediate scaturisce dal suo ruolo nei processi immunologici; in particolare i geni HLA di classe II codificano per le macromolecole che presentano l’antigene ai Linfociti T CD4+ (Fig. 1).

Le prime osservazioni di una stretta correlazione tra alcune malattie e il sistema HLA risalgono agli anni ‘60; ad oggi si conoscono oltre 80 malattie immunomediate (Tab.1) in cui tale associazione appare evidente(7). D’altro canto, i classici dati statistici che riportano l’evidenza di un’associazione tra determinati alleli HLA e malattie immunomediate, presentano con maggior frequenza un marcatore definito nei pazienti in esame rispetto alla popolazione generale(8). Esempi inequivocabili sono l’allele HLA-B27, presente nel 90% dei pazienti con spondilite anchilosante rispetto al 9% della popolazione generale; l’aplotipo DR4-DQ8, presente nell’83% dei soggetti con artrite reumatoide contro il 24% della popolazione generale, e gli aplotipi DR3-DQ2 e/o DR4-DQ8 presenti nel 98% dei soggetti con malattia celiaca rispetto al 28% della popolazione generale (Fig. 2).

Più recentemente, un approccio metodologico basato sullo scanning genomico mediate SNPs di un elevato numero di pazienti affetti da una determinata immunopatia(9),  ha confermato tali premesse (Fig.3) rese, peraltro, più evidenti dalla verifica(10) di un importante coinvolgimento delle macromolecole DQ2 e DQ8 nella insorgenza di risposte immuni di I tipo(11,12,13) e di disordini infiammatori gastro-intestinali apparentemente aspecifici (Fig.4) e, dunque, non necessariamente riconducibili all’ambito definito della franca malattia celiaca(14).

E’ da tali osservazioni che scaturisce la plausibile supposizione di un’ampia gamma di fattori comuni a forme patologiche multiple che, seppur con localizzazioni e caratterizzazioni  fenotipiche differenti, risultando originate da una matrice comune potrebbero, di fatto, rispondere ad  un  intervento terapeutico univoco e centralizzato.

 

 

Meccanismi immunologici dell’intolleranza al glutine

E’ noto che, nei mammiferi, la risposta immune si articola in due complessi sistemi tra loro correlati: l’immunità innata, ancestrale e relativamente non antigene-specifica, e l’immunità adattativa, più sofisticata, filogeneticamente più recente ed altamente antigene-specifica.

Gli elementi dell’immunità innata sono principalmente rappresentati da cellule della linea monociti/macrofagi, cellule dendritiche, derivati degli epiteli di rivestimento e granulociti capaci di riconoscere una serie di molecole patogene o PAMP (Pathogen Associated Molecular Patterns),  attraverso famiglie diverse di recettori non specifici, come i recettori Toll-simili (TLR) e  i recettori Nod-simili.

L’interazione tra TLRs e PAMPs è in grado di attivare i meccanismi della immunità innata, inducendo una reazione caratterizzata dalla produzione di anticorpi polireattivi, citochine pro-infiammatorie e chemochine, a loro volta capaci di accendere e mantenere una risposta infiammatoria aspecifica.

L’immunità adattativa, invece, chiama in causa cellule altamente specializzate, i linfociti T  citotossici, coinvolti nella risposta cellulo-mediata, e i linfociti B,  attivi nella risposta umorale, attraverso i loro recettori di superficie altamente antigene-specifici. Questo tipo di risposta si caratterizza, oltre che per l’azione immunitaria diretta antigene-specifica, anche per l’attivazione di una “memoria” a lungo termine.

Due distinte sottopopolazioni di linfociti T helper, definiti Th1 e Th2, cooperano rispettivamente nella risposta cellula-mediata e umorale. Usando un meccanismo ricombinativo quasi casuale, le cellule T, di derivazione timica, possono generare un repertorio pressoché infinito di specificità, risultando reattive nei confronti degli antigeni estranei ma anche degli antigeni “self”. Molteplici processi, inquadrabili nelle dinamiche della “self-tolleranza”, vengono innescati nell’intento di eliminare le cellule T self-reattive. Tale eliminazione, se incompleta, può però mantenere operativa una piccola quota di quelle cellule che, potenzialmente in grado di avviare una risposta autoimmune, vengono di norma efficacemente sottoposte all’azione soppressoria di un particolare subset di cellule T CD4+, chiamate “T regolatorie naturali” o “nTreg”, che si sviluppano nel timo ed esprimono in maniera costitutiva il recettore CD25. Un fattore di trascrizione X-linked (Forkhead box P3 o FoxP3), risultando in esse fortemente espresso, viene correntemente utilizzato come loro specifico marcatore(15).  Le cellule nTreg sono in grado di sopprimere la risposta immune mediante anergia o delezione, e un loro eventuale deficit o alterato funzionamento può evidentemente provocare nell’uomo disordini immunologici di vario tipo ed entità.

Una qualche forma attiva di tolleranza dev’essere, però, evidentemente considerata anche a livello periferico nei confronti, per esempio, di batteri commensali e antigeni alimentari che continuamente entrano in contatto con le superfici mucosali e che, di fatto, costituiscono un “elemento di confine” tra elementi estranei e componenti “self”. Ne consegue, pertanto, che il comparto immunitario mucosale, con particolare riferimento a quello del tratto gastrointestinale che certamente costituisce la principale porta d’ingresso nell’organismo di fattori esogeni, ha il compito, da un lato, di stabilire la tolleranza nei confronti degli antigeni della dieta e dei batteri commensali e, dall’altro, di reagire nei confronti dei patogeni.

Anche la più piccola alterazione di questo delicato equilibrio può ingenerare risposte allergiche o, comunque, fenomenologia reattiva legata all’attivazione di processi flogistici.

Nelle dinamiche complesse, ma ben orchestrate, della fisiologica risposta immunitaria, le cellule T  CD4+ giocano un ruolo assolutamente fondamentale. L’instaurarsi della tolleranza è, in effetti, legato alla presenza di cellule T CD4+ FoxP3 convenzionali, che possono essere convertite in cellule T CD4+ FoxP3+. Queste ultime, denominate “cellule T regolatorie acquisite” (“aTreg”), esibiscono capacità immunosoppressive e caratteristiche fenotipiche del tutto analoghe a quelle espresse dalle cellule nTreg. Esse, tra l’altro, producono elevati livelli di IL10 e TGFβ1.

Il mancato sviluppo della tolleranza, cui fa seguito l’instaurarsi di un processo infiammatorio, sembra invece correlato alla presenza di un particolare subset di cellule T CD4+ secernenti IL17, che sembra svolgere un ruolo cruciale nell’induzione della flogosi e delle malattie autoimmuni(16).

Osservazioni recenti hanno evidenziato come una miscela di citochine pro-infiammatorie, comprendenti tra le altre IL6 e TGFβ1, funzioni come un potente cocktail in grado di inibire l’espressione di FoxP3 e promuovere, d’altro canto, l’espressione del recettore per l’Acido Retinoico RORγ1. Deriverebbe da questo il differenziamento delle cellule T CD4+ in cellule Th17 producenti IL17, piuttosto che in cellule aTreg(17). Ne consegue che le cellule Th17 e le aTreg sono tra loro strettamente correlate rappresentando, di fatto, le due facce di una stessa medaglia.

Poiché i giocatori che si trovano a monte della via di attivazione dei linfociti T sono le cellule dendritiche ed altre cellule APC, è a queste che va attribuita la funzione di starter patogenetico dell’evento infiammatorio nell’ambito del quale la produzione delle varie citochine dirigerà il differenziamento delle cellule T verso specifici subset, creando il linkage tra immunità innata e adattativa.

La malattia allergica deve, quindi, necessariamente essere inserita nel quadro di un processo infiammatorio cronico, progressivamente evolutivo nella sua marcia differenziativa, che si instaura a seguito della mancata tolleranza verso un antigene(18).

Prototipo di questa condizione può essere considerata la malattia celiaca, condizione nella quale l’elettiva reattività al glutine si associa ad un processo di immunoflogosi, tra l’altro potenzialmente caratterizzato da sierologia positiva per autoimmunità e a progressiva valenza sistemica.

 

 

Sintomatologia

I primi riscontri clinici oggettivamente riconducibili al quadro nosologico della NCGS sono stati forniti da soggetti con familiarità positiva per celiachia, i quali, pur non presentando i classici rilievi istologici dell’atrofia villare, manifestavano comunque un’anomala risposta al glutine.

Il complesso quadro sintomatologico è certamente caratterizzato da segni legati al coinvolgimento enterico (meteorismo, addominalgie, irregolarità dell’alvo) ma anche da disturbi a valenza sistemica (astenia con tendenziale adinamia e facile stancabilità; sonnolenza; dismnesie e difficoltà di concentrazione; cefalea; artromialgie con frequenti manifestazioni acroparestesiche; rash cutanei; stati anemici ferro-carenziali)(19).

Diversi Autori ritengono che la NCGS possa rappresentare il nucleo patologico generatore di una serie di sintomi gastrointestinali altrimenti riferibili, più semplicemente, al quadro della IBS. Tali manifestazioni verrebbero oggi attribuite all’azione di rilascio, promossa dal glutine sul plesso mioenterico, di acetilcolina, importante neurotrasmettitore coinvolto nel controllo della motilità e della permeabilità intestinale(20).

La mucosa intestinale è la porta di transito diretta degli antigeni alimentari e microbici; in generale, l’esposizione di soggetti geneticamente predisposti a fattori trigger può contribuire alla genesi di un’alterata risposta immune. La compromessa funzione di barriera intestinale (alterazione delle giunzioni intercellulari, alterazioni della permeabilità, etc.), può rappresentare lo step critico nel promuovere una risposta nell’ospite che si manifesta con lo spettro sintomatologico della gluten sensitivity.

 

 

Dietoterapia

Il grano costituisce, insieme a mais e riso, una delle colture più rilevanti.

Ogni anno vengono raccolti circa 600 milioni di tonnellate di frumento la cui coltivazione si estende, seppur con intensità variabili a seconda della latitudine, su una vastissima area geografica, dalla Scandinavia all’Argentina.

Il successo del grano è legato, oltre che alla capacità di offrire elevati rendimenti produttivi, alla sua viscoelasticità che, determinata dalla rete di proteine costituenti il glutine, rende possibile l’ottenimento di un’ampia gamma di prodotti alimentari (pasta, pane, prodotti da forno, etc.). Tale processo risulta per molti versi inibito o, comunque, limitato dall’impiego di farine aglutinate che, povere di proteine strutturanti, non sono evidentemente in grado di generare quella maglia proteica capace di fornire, al prodotto finito, la giusta consistenza.

Le proteine di deposito presenti nel grano possono essere distinte in gliadine, quando dotate di  legami disolfuro intercatena, e glutenine, se prive di quei legami. L’insieme di gliadine e glutenine costituisce il glutine.

Si ipotizza che l’introduzione di cereali glutinati, avvenuta circa 10.000 anni fa con l’avvento dell’agricoltura, abbia prodotto, in una parte della popolazione, condizioni evolutivamente favorenti l’insorgenza di patologie correlate al glutine, contenuto, oltre che nel frumento, anche in orzo, segale, avena, farro(21).  Oltretutto, nel corso dei secoli, l’agricoltura ha teso a selezionare, tra le diverse specie di cereali, le varietà con una maggiore quantità di glutine proprio in ragione della descritta capacità di questa proteina a conferire, pur a fronte di un suo scarso valore nutrizionale, caratteristiche di tenacità ed elasticità agli impasti. Si è così arrivati ad ottenere semi di grano con un contenuto di glutine anche pari al 50%. Si aggiunga a questo un’attività commerciale che, a causa della crescente richiesta, induce mulini e panifici a produrre impasti facilmente e rapidamente lavorabili, addizionando alle farine cospicue quantità di glutine la cui rilevanza, nella insorgenza di specifiche patologie evidentemente non limitabili all’ambito esclusivo della celiachia,  tende conseguentemente ad aumentare.

Il gold-standard terapeutico per le patologie glutine-correlate non può che essere rappresentato dalla dieta gluten-free. Di recente è stata anche proposta un’endopeptidasi, prodotta da alcuni batteri e funghi ed in grado di digerire il glutine, come possibile aggiunta alla dieta controllata, per quanto il suo impiego non abbia ad oggi fatto riscontrare risultati soddisfacenti(22).

 

Conclusioni

Attualmente la condizione di “Non-Celiac Gluten Sensitivity” (NCGS) è definita dalla presenza, in soggetti geneticamente predisposti, di una o più manifestazioni – siano esse immunologiche, morfologiche o sintomatologiche – che possano altresì appartenere al quadro della Malattia Celiaca o della Sindrome del Colon Irritabile, non condividendone tuttavia pienamente né la patogenesi né l’evoluzione. D’altro canto, il meccanismo mediante il quale il glutine induce l’insorgenza di sintomi funzionali in soggetti non celiaci rimane ancora oggi da definire.

Tuttavia, il concetto  che la disfunzione intestinale e la generazione dei sintomi derivino da una abnorme risposta dell’ospite all’ingestione di glutine, è sostenuto dalla combinazione dei dati di letteratura provenienti da studi clinici e sul modello animale.

Su tali basi, ad oggi è possibile ritenere che in soggetti geneticamente predisposti ma non celiaci, l’ingestione di glutine induca alterazioni del profilo immunologico mucosale e sistemico, caratterizzate da una abnorme attivazione della risposta innata, causa a sua volta di marcate alterazioni delle funzioni di barriera (permeabilità intestinale) e neuromuscolare gastrointestinale, principali generatori del corteo sintomatologico associato.

Fra l’altro, l’identificazione di una condizione di NCGS e della sua correlazione con la malattia allergica apre nuove prospettive di lavoro, orientate anzitutto alla ricerca di più precisi criteri diagnostici per l’identificazione di soggetti con elevata sensibilità al glutine e, conseguentemente, alla valutazione di un più contenuto apporto di quest’ultimo nella impostazione complessiva dei protocolli terapeutici destinati al trattamento delle allergopatie.

 


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