31 Ago Vademecum dei guariti da Covid-19
Il 23° numero di Risposta ImmunITALIA, la rubrica settimanale in cui il prof. Minelli risponde alle domande dei pazienti, è dedicato appunto al Vademecum dei guariti da Covid-19.
Chi si è ammalato di Covid e poi è guarito, ha le stesse probabilità di reinfettarsi delle persone vaccinate ma mai precedentemente contagiate dal SARS Cov-2? O, rispetto a queste, è più protetto?
Un recentissimo studio israeliano condotto su un’ampia coorte di pazienti e pubblicato in pre-print su medRxiv pochissimi giorni fa, ha dimostrato che i soggetti già in precedenza infettati dal SARS Cov-2 sono poco suscettibili ad una nuova malattia sostenuta dallo stesso virus e dalle sue varianti. Questi soggetti, infatti, si sono rivelati in grado di superare la reinfezione senza sintomi di rilievo e, dunque, senza alcuna necessità di ricorrere a ricoveri. Dunque, quel che certamente si può affermare, tanto più alla luce dei risultati forniti dello studio israeliano, è che la protezione immunitaria naturale che si sviluppa dopo un’infezione da SARS-CoV-2 è in grado di offrire, anche contro la variante Delta del coronavirus, una copertura valida, rivelatasi anche più sicura rispetto a quella offerta da due dosi del vaccino a mRNA.
Questo vuol dire che vaccinarsi contro il nuovo Coronavirus può essere inutile? Sarebbe meglio contrarre l’infezione per sentirsi più protetti? Ma, considerando i rischi della malattia “CoViD-19”, non le sembra improprio sperare di ammalarsi per poi sentirsi più al sicuro?
Non ho minimamente pensato ad uno scenario di questo genere, e non ho mai immaginato di invitare i sani ad ammalarsi per poter aspirare ad un più alto livello di immunoprotezione. Che sarebbe pura follia! Ho solo precisato che ai soggetti guariti dalla CoViD-19 resta in dotazione un elevato livello di protezione immunitaria tale da garantire una cortina fortemente protettiva contro il SARS Cov-2. E questo importante risultato, per quanto connesso ad un evento patologico certamente non cercato e anzi decisamente rifuggito e osteggiato, va considerato elemento, magari fortuito, ma sicuramente protettivo rispetto a forme sintomatiche della malattia che, com’è noto, sono possibili nei soggetti ai quali pure sia stata somministrata una doppia dose di vaccino.
Allora, tanto per inquadrare correttamente l’argomento: cos’hanno in più i soggetti guariti dalla Covid-19 che non abbiano i soggetti vaccinati e mai colpiti dalla malattia?
Nella risposta mi attengo rigorosamente ai dati certi forniti dallo studio scientifico dei ricercatori Israeliani che, al momento, rimane il più grande studio osservazionale condotto nel mondo per mettere a confronto l’immunità naturale (prodotta dall’infezione) e l’immunità acquisita (indotta dal vaccino contro il SARS Cov-2).
In estrema sintesi, da questo studio si evince che:
- I soggetti colpiti dalla malattia, guariti e poi vaccinati con una sola dose del prodotto Pfizer, sono dotati di uno scudo protettivo contro il coronavirus pandemico molto più efficace rispetto a coloro i quali si sono sottoposti a due dosi dello stesso vaccino senza aver mai contratto l’infezione;
- I soggetti colpiti dalla malattia, guariti e NON ANCORA vaccinati, sono risultati, rispetto ai guariti e vaccinati con una sola dose Pfizer, molto meno protetti contro la reinfezione;
- I soggetti fortunatamente indenni dal contatto con il SARS Cov-2 e che, dunque, non abbiano mai fatto la malattia Covid-19, ma che abbiano regolarmente ricevuto le due dosi di vaccino, sono comunque altamente protetti contro le forme gravi della Covid-19, quelle cioè che, nella loro evoluzione, possono portare al decesso del paziente che ne risulti affetto;
- Non è pensabile l’infezione intenzionale tra le persone non vaccinate, perché il ragionamento “esco tra la gente così mi infetto” è da ritenersi illogico e, dunque, fuor di luogo, considerando tanto l’elevato livello di pericolosità che risaputamente si associa alla Covid-19 in quanto tale, quanto il rischio tutt’altro che remoto di incorrere nelle severe e prolungate complicanze di quello che è stato definito Long Covid.
Ma su quali evidenze poggiano questi dati? Com’è possibile affermare con certezza che l’immunità naturale sia davvero migliore di quella indotta da vaccinazione?
L’analisi dei dati riportati dallo studio condotto in Israele, fondata sull’esame di decine di migliaia di cartelle cliniche, ha fornito riscontri decisamente interessanti che meritano di essere declinati con ragionata ponderatezza:
- Le persone vaccinate nei primi mesi del 2021 (gennaio e febbraio 2021) ma non colpite dalla malattia CoViD-19, sono risultate molto più esposte al rischio d’infezione da parte del SARS Cov-2 di quanto non sia accaduto alle persone non vaccinate ma che, in precedenza, erano state infettate dal coronavirus. In particolare confrontando, in un gruppo molto ampio composto da 32mila persone, le differenti storie cliniche tra soggetti vaccinati ma rimasti indenni dall’infezione e soggetti non vaccinati ma che avevano contratto e superato la Covid-19, si è potuto stimare che nei secondi il rischio di sviluppare la malattia in forma sintomatica e il rischio di ricovero erano, rispettivamente, 27 volte e 8 volte più bassi di quanto rilevato nei soggetti che avevano ricevuto il vaccino ma non l’infezione.
- Non è stato registrato alcun decesso tra i soggetti arruolati nello studio che, dopo aver completato la vaccinazione, avessero contratto un’infezione da SARS Cov-2, ciò che, al di là di ogni considerazione, chiaramente documenta l’effetto protettivo dell’immunità indotta dal vaccino; l’immunità vaccino-indotta, dunque, risulta certamente efficace ma non come quella naturale evocata dalla malattia in quanto tale.
- Il sistema immunitario di soggetti che, dopo essere guariti dalla malattia Covid-19 hanno pure ricevuto una dose di vaccino, risulta non solo fortemente rinforzato nelle sue funzioni, ma anche in grado di produrre anticorpi contro il coronavirus eccezionalmente ampi e potenti, capaci di intervenire efficacemente sulle varianti finora prodotte, tra cui la Delta.
- Le persone che guariscono da un’infezione generata dal nuovo coronavirus per un anno e anche di più continuano ad implementare la produzione di anticorpi anti-Covid che risulta essere molto ampia in termini sia quantitativi che qualitativi. Cosa diversa accade nelle persone vaccinate con doppia dose ma mai infettate dal SARS Cov-2, nelle quali l’ampiezza e la potenza della risposta anticorpale sembra esaurirsi già qualche mese dopo la loro seconda dose.
Come deve regolarsi con le pratiche vaccinali il soggetto che abbia già fatto una malattia da SARS Cov-2?
Può considerarsi protetto e dunque non sottoporsi a vaccinazione? Deve seguire, senza distinzione alcuna, le stesse procedure previste per le persone mai ammalatesi di Covid? Deve attenersi ad indicazioni specifiche correlate alle sue condizioni?
Per le persone guarite da una precedente infezione da Covid-19 è prevista una sola dose di vaccino, a meno che non si tratti di pazienti con storia nota di immunodeficienza primitiva o secondaria per i quali è, invece, prevista una vaccinazione completa con somministrazione delle canoniche due dosi.
Il green pass per chi ha avuto la malattia e ha ricevuto una dose di vaccino ha validità di un anno proprio come per i soggetti che abbiano fatto due dosi. Queste le regole codificate dal Comitato Tecnico Scientifico che, pur comprensibilmente omologate ad uno standard valido per tutti nell’idea che non si possa creare un green pass ‘ritagliato’ sulle condizioni e sulle esigenze delle persone singole, tuttavia non sembrano tenere conto delle diverse storie individuali e dei livelli di immunità che sono stati singolarmente raggiunti.
Voglio dire che la regola fissa secondo cui il certificato dura per tutti incondizionatamente un anno, non può essere considerata la più corretta se interpretata sul piano immunologico e, men che meno, su quello della medicina personalizzata che dovrebbe prevedere la somministrazione della dose giusta, alla persona giusta, nel momento giusto. Buona norma, pertanto, potrebbe essere quella di monitorare l’andamento dei processi di immunizzazione indotti dall’eventuale malattia già superata, prima di decidere se e quando fare il vaccino, potendo risultare inutile la somministrazione anche solo di una dose nel momento in cui si dovesse avere certezza di un’immunità piena ed efficiente evocata dall’interazione diretta col virus. In questo senso utile potrebbe risultare, per esempio, il semplice monitoraggio degli anticorpi ricorrendo al test sierologico di uso corrente.
Si tratta, beninteso, di considerazioni che, per quanto dettate da un ragionamento oggettivo, per essere attuate avrebbero sempre bisogno dell’avallo degli organi decisori ai quali ultimi spetta il compito di definire le procedure codificate nei protocolli ufficiali ai quali attenersi.