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Perché nella CoViD si parla di vasculite?

Vasculiti: sintomi e legame con la Covid-19

Perché nella CoViD si parla di vasculite?

Il 13° numero di Risposta ImmunITALIA, la rubrica settimanale in cui il prof. Minelli risponde alle domande dei pazienti, è dedicato alle vasculiti: cause, sintomi, terapie e lagame con la CoViD-19.

Con l’avvento della CoViD, abbiamo cominciato a sentir parlare di vasculiti. Di cosa si tratta esattamente?

Le vasculiti sono malattie infiammatorie che provocano sintomi dovuti all’occlusione dei vasi sanguigni o alla rottura degli stessi con conseguenti emorragie.

L’infiammazione, che può essere limitata a piccoli segmenti di un vaso sanguigno, oppure estesa a più distretti o anche diffusamente disseminata nell’organismo, comporta quasi sempre il restringimento del vaso sanguigno interessato con conseguente ischemia – e dunque scarsa o assente irrorazione sanguigna – del territorio servito dal vaso ostruito.

Da un punto di vista classificativo, le vasculiti possono essere differenziate in primitive o secondarie ad altre patologie, e possono interessare qualunque tipo di vaso (arterie, arteriole, vene e venule) in qualsiasi sede anatomica.

Dunque le vasculiti non sono tutte uguali?

Una classificazione delle vasculiti, funzionale ad una loro prima differenziazione, è quella che le distingue sul piano anatomico in:

  • Vasculiti dei grandi vasi, quadri nei quali l’infiammazione interessa, per esempio, l’aorta e le sue diramazioni principali (arterite a cellule giganti, morbo di Takayasu);
  • Vasculiti dei vasi medi, che interessano le arterie (Poliarterite nodosa, morbo di Kawasaki, Vasculite primaria del SNC, morbo di Buerger);
  • Vasculiti dei piccoli vasi, che interessano arteriole, capillari e venule (poliangioite microscopica, granulomatosi di Wegener, sindrome di Churg Strauss, vasculite da farmaci).

Perché nel caso della CoViD, si parla di vasculite?

Fin dagli esordi dell’evento CoViD abbiamo ipotizzato, sul versante strettamente clinico, la valenza sistemica della malattia da nuovo Coronavirus, dopo aver scartato, alla luce di evidenze sempre più chiare, ogni ipotesi poggiata sulla semplicistica deduzione che vorrebbe un virus assunto attraverso le vie respiratorie, “linearmente” responsabile solo di una polmonite.

E che non fosse proprio così linearmente banale questa storia, ce l’avevano anche detto i cinesi, quelli di Wuhan e dintorni che, in uno studio condotto già in febbraio 2020 nel Tongji Hospital e successivamente pubblicato sul Chinese Journal of Tuberculosis and Respiratory Diseases, ci avevano parlato di una “tempesta citochinica” caratterizzata da un aumento dei livelli ematici di diversi mediatori della cosiddetta “immunoflogosi”, due dei quali risultavano essere particolarmente aumentati nei pazienti più gravi.

Le citochine, delle quali i medici di Wuhan raccontavano gli effetti, altro non sono se non veri e propri “segnali di comunicazione” tra sistema immunitario e cellule e tessuti dell’organismo e, in alcuni casi, sono in grado di promuovere e amplificare importanti processi infiammatori, a loro volta generatori delle varie complicanze della malattia. Più in particolare, nei pazienti cinesi, sono state soprattutto riscontrate due di queste sostanze: il recettore della Interleuchina 2 (IL-2R) e l’Interleuchina 6 (IL 6).

Si dà il caso che le sostanze ritrovate dai ricercatori cinesi, risultano essere attori principali di tante e diverse Malattie Infiammatorie Immunomediate (IMID). Più in particolare la IL6, rilevata in grandi quantità nel sangue dei malati gravi di CoViD-19, la si ritrova decisamente aumentata, per esempio, nel Morbo di Crohn insieme ad altre citochine quali il Fattore di Necrosi Tumorale (TNFα) e le interleuchine di tipo 1 (IL1), di tipo 2 (IL2), di tipo 8 (IL8) e di tipo 12 (IL12); ma anche nella Sclerosi Multipla, nell’Artrite Psoriasica, nella Rettocolite Ulcerosa e ancora nell’Artrite Reumatoide. Sempre all’Interleuchina 6, eventualmente combinata con IL1, Interferone Gamma e TNFα, viene attribuita la genesi di un’altra IMID questa volta di stretta pertinenza pediatrica, data la sua assoluta prevalenza nell’età compresa tra i 2 e i 5 anni di età, che, ad un certo punto, è stata anche associata all’infezione da nuovo coronavirus. La malattia in questione, nota come Sindrome di Kawasaki, altro non è se non una vasculite sistemica sostenuta da una disfunzione immunitaria a sua volta basata su substrati genetici ed evidentemente indotta da fattori esterni più frequentemente di tipo infettivo, che interessa soprattutto le arterie di calibro medio, con particolare ma non esclusiva predilezione per le coronarie.

Ecco che il tema delle vasculiti si impone come argomento rilevante nelle dinamiche della Sindrome da CoViD-19, ma anche nella sindrome post-CoViD.

Sul fronte clinico, come si riconosce una vasculite? Quali sono i sintomi più rilevanti che avverte una paziente affetto da vasculite?

I disturbi che possono caratterizzare il quadro clinico di una vasculite cambiano molto a seconda del distretto nel quale si è prevalentemente localizzato il danno infiammatorio a carico dei vasi sanguigni.
I sintomi e segni clinici più frequenti, comunque di intensità variabile in funzione dell’entità del quadro infiammatorio, sono generalmente rappresentati da:

  • febbre e stanchezza;
  • talvolta prurito;
  • porpora (lesioni diffuse a carico delle mucose, molto spesso evidenziabili sulla pelle, dal colorito violaceo,
    causate da emorragia);
  • necrosi (alterazioni della struttura della cute o di altre superfici mucose) con possibili ulcere;
  • livedo reticularis (macchie cutanee scolorite, tendenzialmente cianotiche, conformate a rete);
  • dolori articolari e muscolari;
  • neuropatie infiammatorie, tendenzialmente a carico di un unico nervo;
  • cefalea;
  • acufeni (fischio continuo nelle orecchie);
  • ictus;
  • infarto del miocardio;
  • trombosi;
  • glomerulonefrite;
  • difetti della vista progressivamente ingravescenti;
  • sanguinamenti delle vie respiratorie e gastroenterici.

Ma c’è una causa che determina la comparsa di una vasculite? Come si generano queste malattie?

In realtà le vasculiti sono un gruppo piuttosto eterogeneo di malattie, tutte comunque caratterizzate dalla presenza di fenomeni infiammatori a carico della parete dei vasi sanguigni. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, all’origine dei tali patologie viene riconosciuta una patogenesi immunologica.

In alcuni casi il danno è provocato dal deposito di “complessi immuni” sulla parete dei vasi sanguigni con formazione locale di granulomi. In altri, invece, la lesione può derivare dall’azione diretta di autoanticorpi e cioè di anticorpi anomali (ANCA) che, invece di aggredire agenti nocivi che provengono dall’esterno dell’organismo, colpiscono cellule dell’organismo stesso, in questo caso cellule che formano lo strato interno dei vasi sanguigni, danneggiandole.

Quali sono le principali vasculiti?

Ci sono vasculiti allergiche, tipo la Sindrome di Churg-Strauss, caratterizzate da aumento, nel sangue, di eosinofili ed elevati livelli di IgE.

E poi ci sono:

Sono descritti, infine, casi di vasculite affatto dipendenti da disfunzioni del sistema immunitario, nei quali il danno della parete vasale può essere secondario ad altre patologie come, ad esempio, infezioni, malattie del tessuto connettivo, ipersensibilità da farmaci, neoplasie maligne, trapianto d’organo, crioglobulinemia mista essenziale.

Come si curano le vasculiti?

La terapia di queste patologie dipende dal tipo di vasculite da cui un paziente è affetto, dai distretti interessati e dalle condizioni generali di salute del paziente.

Generalmente, nei casi in cui si riesca ad intervenire agli esordi della malattia, possono essere evitati danni permanenti.
Alcuni tipi di vasculite sono auto-limitanti e possono migliorare spontaneamente, mentre altri richiedono farmaci generalmente diretti a fermare l’infiammazione co cortisonici, e a controllare il sistema immunitario con trattamenti immunomodulanti. In determinati casi, se il danno provocato da una vasculite è molto grave, si possono rendere necessari interventi correttivi come, ad esempio, l’innesto di un bypass vascolare ovvero un trapianto renale.

Come si fa a diagnosticare una vasculite?

La diagnosi di una vasculite, oltre ad una accurata anamnesi ed un meticoloso esame obiettivo, si basa sull’associazione combinata di parametri clinici, sierologici, istologici, angiografici. Tuttavia, l’approccio clinico per l’inquadramento dei principali quadri di vasculite è di primaria importanza rispetto ai parametri sierologici che, semmai, rappresentano il livello successivo del procedimento diagnostico. Si andranno, pertanto, a valutare con appositi esami di laboratorio: autoanticorpi, crioglobuline, marcatori di agenti infettivi associati a vasculiti come HBV, HCV ed HIV, analisi del complemento, in particolare C3, C4, CH50, THC. Opportuno sarà, inoltre, eseguire uno studio dettagliato della funzionalità degli organi eventualmente interessati dall’infiammazione vascolare (reni, polmoni, intestino, fegato, sistema cardiocircolatorio, sistema nervoso, ecc.).

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