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Celiachia: non chiamiamola malattia

Celiachia: non chiamiamola malattia

Celiachia: non chiamiamola malattia

In un recente intervento su ADNKronos Salute, l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud della Fondazione di Medicina personalizzata (Fmp), commenta la Relazione del ministero della Salute al Parlamento sulla celiachia in Italia, invitando a considerare l’intolleranza al glutine in modo meno tradizionale, ovvero come una “condizione” e non come una malattia.

La crescente presenza di celiaci nel mondo che ci circonda impone una presa di coscienza del ‘problema celiachia’ aggiornata su ciò che non è più omissibile. I celiaci, che prima di arrivare ad una definizione precisa della loro condizione possono aver attraversato percorsi non facili nei meandri di un labirinto diagnostico, hanno il diritto di pretendere una vita sana e sicura certamente senza glutine, ma anche con la garanzia di poter gestire al meglio le piccole grandi conseguenze che quella esclusione può comportare. Ma, se proviamo ad analizzare in maniera un po’ meno tradizionale e un po’ più obiettiva la celiachia che, com’è noto, per essere controllata non ha bisogno di farmaci ma solo di un adeguato regime alimentare senza glutine, dovremmo più correttamente considerarla più una ‘condizione’ che non una ‘malattia’, con la conseguente deduzione che quella del celiaco non può essere definita ‘dieta per malati’, ma semmai un profilo alimentare non in linea con quello più classicamente associato al Paese della dieta Mediterranea.

Come ulteriore supporto a questo assunto, può esserci anche il fatto che il glutine in fondo è solo il collante che conferisce elasticità all’impasto preparato con la farina di frumento, a fronte di un suo scarso valore nutrizionale e di una digeribilità piuttosto problematica. Tuttavia, le nuove evidenze che scaturiscono soprattutto dalla scienza del microbiota ci impongono qualche riflessione aggiuntiva su premesse che appartengono al racconto storico di questa condizione. In effetti, le conseguenze di una dieta priva di glutine sul microbiota intestinale sono ben note da quando la celiachia ha consentito di verificarne la portata e le conseguenze anche sul versante metabolico. La dieta priva di glutine riduce l’abbondanza di specie batteriche benefiche per il nostro organismo come Bifidobacterium, Lactobacillus, Ruminococcus bromii, Roseburia faecis, aumentando invece specie del microbiota potenzialmente patogene come Victivallaceae e Clostridiaceae.

Senza dimenticare che il mais abitualmente utilizzato per creare i pasti alternativi per i celiaci, in ragione del suo contenuto in fruttosio, è carboidrato fermentabile appartenente al grande gruppo degli alimenti Fodmap (Fermentable Oligo-saccharides, Di-saccharides, Mono-saccharides and Polyols) noti per aumentare i problemi digestivi e causare la sindrome dell’intestino irritabile.

Altro elemento da considerare è l’integrità della barriera intestinale. Nella celiachia, l’attivazione del sistema immunitario dopo il consumo di glutine comporta il danneggiamento della mucosa intestinale e delle microscopiche proiezioni di cellule chiamate villi, riducendo l’assorbimento dei nutrienti e causando infiammazione. Questa alterazione strutturale può portare ad un aumento della permeabilità intestinale, noto anche come ‘leaky gut’ o intestino permeabile. È una condizione in cui la barriera intestinale diventa meno efficace nel controllare il flusso di sostanze nocive (batteri, tossine, particelle parzialmente digerite e altri agenti patogeni) verso il flusso sanguigno e linfatico. Questo processo contribuisce ai sintomi gastrointestinali e può anche portare a complicazioni a lungo termine come malnutrizione, osteoporosi, anemia e aumentato rischio di altre condizioni autoimmuni.

In conclusione, queste sono complicazioni della celiachia ormai ben note, ma anche molto ben diagnosticabili senza esami invasivi; sono anche facilmente gestibili, ancora una volta senza bisogno di farmaci ma con opportuna integrazione pre o probiotica. È necessario essere pienamente consapevoli che la sola esclusione del glutine non può consentire a una barriera intestinale alterata di ripararsi da sola, né tantomeno ad una compagine batterica sbilanciata verso una disbiosi di riequilibrarsi spontaneamente, specie in presenza di una alimentazione deprivata del glutine.

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