01 Mar Pandemia, quarta dose e Novavax: cosa ci aspetta nei prossimi mesi
Con l’arrivo della primavera sembra che la pandemia subisca un arresto. Rimane tuttavia il dubbio sugli scenari che si prospettano per i mesi autunnali e sulle strategie più adatte a evitare le restrizioni adottate negli ultimi due anni.
Il numero 47 di Risposta ImmunITALIA, la rubrica settimanale in cui il prof. Minelli risponde alle domande dei pazienti, è dedicato all’analisi degli scenari futuri, sulla base degli aggiornamenti che stiamo ricevendo anche nel campo dei vaccini.
Possiamo considerare la pandemia alla fine oppure, com’è successo l’anno scorso con la bella stagione, i contagi ora diminuiscono per poi risalire in autunno?
Certamente con l’arrivo della bella stagione i contagi subiranno un calo, come già si è verificato nelle scorse annate. A questo scenario si deve aggiungere però la maggiore virulenza di Omicron, ultima variante conosciuta in ordine di tempo, che potrebbe incidere almeno nei prossimi mesi sull’aumento d’incidenza paragonato alle scorse primavere. Per quanto concerne invece il possibile aumento di contagi in autunno, è verosimile che accada rispetto ai mesi estivi, ma la situazione potrà essere tenuta maggiormente sotto controllo con il progressivo aumento della copertura vaccinale nei bambini e negli adulti in termini di terze dosi.
Con la fine dell’emergenza si dovranno vaccinare solo i soggetti fragili con un’ipotetica quarta dose?
La quarta dose è di fatto una realtà già in diversi Paesi: attualmente è prevista soltanto per pazienti con determinate patologie, in caso di immunodepressione e comunque in soggetti di età superiore ai 18 anni, sebbene con tempistiche diverse – tra terza e quarta – a seconda dei diversi Paesi. Allo stato ci sarebbe da aggiungere che i dati attualmente disponibili non sono sufficienti per poter affermare con certezza se sia importante ricevere una quarta dose di vaccino a pochi mesi dalla terza o se invece, nell’intento di incrementare la protezione contro il virus, possa essere magari più opportuno pensare a un nuovo richiamo pre-autunnale.
Posticipare la nuova dose consentirebbe, tra l’altro, di monitorare la reale evoluzione della pandemia che, come già detto, potrebbe subire una decisa attenuazione in termini di severità clinica per la concomitante presenza di Omicron e la crescita della campagna vaccinale.
Lei comunque non esclude per l’autunno nuove “dosi-richiamo” per tutti. Ma secondo lei, dovendo proseguire con le pratiche vaccinali, basteranno i vaccini attualmente disponibili o ci sarà bisogno di nuovi prodotti?
A questo proposito è sempre utile richiamarsi ai princìpi di fondo che individuano nella vaccinazione un importantissimo strumento di prevenzione primaria. In questo senso – e riferendoci nello specifico alla CoViD-19 – una cosa che sul versante immunologico mai dovrebbe essere omessa è che la procedura più efficace per neutralizzare il SARS-CoV-2, impedendogli di colonizzare gli altri tessuti ed esplodere l’infezione sistemica, è quella di impartire al sistema immunitario le giuste informazioni per consentirgli di produrre nel più breve tempo possibile immunoglobuline e linfociti T in modo che, subito dopo l’aggancio del virus alle cellule d’attracco, non ci siano per l’intruso possibilità di nuocere.
Sappiamo, per averlo già ripetutamente accertato in seguito alle precedenti tre dosi di vaccino, che entro un certo lasso di tempo la disponibilità tanto di immunoglobuline quanto di cellule linfocitarie, da intendersi come elementi strategici di protezione immunitaria indotti dalla vaccinazione, comincia gradualmente a calare, fino a diventare insufficiente e dunque inadeguato a difenderci. Va da sé che, tanto più con l’avvio della stagione fredda, una dose di opportuno richiamo anti-CoViD vada prevista, al pari di quanto già da anni puntualmente si reitera per la prevenzione vaccinale della sempre nuova stagione influenzale.
Ci sarebbe da aggiungere che i vaccini anti-CoViD attualmente disponibili, se pure capaci di evocare la produzione di anticorpi che bloccano la diffusione del virus nell’organismo dell’ospite, non sembrano essere altrettanto efficienti nel promuovere la produzione di anticorpi sulle mucose che costituiscono la base del primo impianto del virus. Per questo, insieme alla possibile “personalizzazione” dei percorsi vaccinali, ritengo quella dei “vaccini mucosali” un’ulteriore nuova strada da esplorare nelle pratiche di immunoprotezione contro il SARS-CoV-2 a beneficio di una importante linea di difesa al momento non ancora sufficientemente considerata e che invece dovremmo valorizzare.
Chi ha preso una volta Omicron si può nuovamente infettare? Come mai? Perché se ho la varicella mi immunizzo a vita e invece con il CoViD no?
Il SARS-CoV-2 non è esattamente il virus della Varicella-zoster che, differentemente dal nuovo coronavirus, muta poco e per questo, dopo aver infettato una persona, conferisce a quest’ultima un’immunità permanente e dunque in grado di escludere nuove ricadute. Nel caso della CoViD, che inizialmente era datata 2019 ma che poi è mutata più e più volte nell’arco temporale di due anni, le reinfezioni sono da imputare proprio a queste progressive mutazioni che rendono il nuovo ceppo notevolmente diverso da quelli che lo avevano preceduto e, pertanto, in grado di eludere le difese che il sistema immunitario aveva creato “su misura” per la variante precedentemente infettante.
C’è anche da considerare l’ipotesi tutt’altro che remota che, invece di una seconda infezione prodotta dalla stessa variante che aveva procurato la prima, possa trattarsi della riaccensione di quest’ultima che, seppur decisamente attenuatasi sul piano clinico, dopo qualche giorno torna in auge con sintomi uguali o anche più intensi di quelli manifestatisi nel corso della prima infezione, che erroneamente si era pensato potesse essersi negativizzata: parlare di reinfezione in questi casi certo non è corretto.
Come mai vaccini contro altre malattie infettive danno una copertura a vita o anche di dieci anni, mentre contro il CoViD pare che la copertura sia ristretta a pochi mesi?
In verità non è proprio così: se mia figlia ha fatto le vaccinazioni contro il morbillo o contro la pertosse nel suo primo anno di vita per non rischiare di essere infettata dai rispettivi agenti patogeni, al sesto anno avrà bisogno di un richiamo tanto per l’uno quanto per l’altro. E questo non vale solo per morbillo e pertosse. Pensiamo, per esempio, alla protezione vaccinale verso l’influenza, per la quale essersi sottoposto a specifica vaccinazione l’anno prima non garantisce affatto, come sappiamo, copertura immunitaria per l’anno in corso.
Come dire che ogni malattia ha la sua storia naturale, il suo decorso e i suoi target specifici, la cui conoscenza permette di declinare le più corrette modalità di gestione, di controllo e di prevenzione.
Quello che possiamo certamente affermare della CoViD oggi, sulla base di quanto insegnato da altri precedenti coronavirus, è che la malattia procurata da uno di questi ultimi conferisce, nei confronti di nuove eventuali reinfezioni, una protezione immunitaria limitata a un tempo di circa un anno ma che, tuttavia, diventa profilatticamente molto significativa se rapportata alla sua capacità di escludere forme gravi della stessa malattia.
È un po’ quello che abbiamo verificato sottoponendoci, in questo nostro tempo, al percorso canonico delle due dosi del vaccino anti-CoViD e che proponiamo di consolidare suggerendo vivamente la terza. Tutto questo in attesa di ricevere dal tempo, alleato indispensabile delle buone prassi, le informazioni sulla CoViD-19 più utili a imbastire le misure di contenimento più opportune ed efficaci.
Secondo lei il vaccino di Novavax, la cui distribuzione è stata annunciata in questi giorni, riuscirà a convincere le persone che non vogliono i vaccini a mRna già in uso? Oppure la partita è persa in partenza?
No, non credo sia partita persa. Già in occasione delle presentazioni preliminari di Nuvaxovid®, anticipando ai tanti che chiedevano informazioni sui dettagli di un prodotto che si preannunciava come una sorta di “avanzamento verso il passato”, avevo avuto modo di verificare una diffusa necessità di saperne di più, insieme a un’affollata richiesta di conoscere le date in cui presso gli hub vaccinali di questa o quella regione si sarebbe dato inizio alla somministrazione del prodotto di Novavax.
Vero è che – stante l’obbligo del Green pass – l’urgenza di “conoscere” poteva anche essere motivata dalla necessità di ritornare alle attività di sempre scegliendo “il male minore”. Ma, pure ammesso che sia questa la ragione, mi pare assodato che il vaccino di Novavax possa non dispiacere a chi per paura, seppure immotivata, fino ad ora ha preferito non sottoporsi a vaccinazione. E questo proprio in ragione della caratteristica elettiva di Nuvaxovid®, rappresentata dalla tecnologia su cui esso si basa, già abbondantemente e felicemente collaudata in molti altri vaccini umani di uso corrente pure per l’infanzia, adottati per contrastare, ad esempio, la Bordetella pertussis responsabile della pertosse, la Neisseria meningitidis C responsabile della meningite, il Papilloma virus e poi il virus dell’epatite B o il virus dell’Herpes zoster.
Ma io, riprendendo al volo e allargando quanto già detto in altre circostanze, andrei oltre: se il vaccino contro la meningite dal 2017 è diventato obbligatorio per tutti tra il 13° e il 15° mese di vita, se le somministrazioni in più dosi differite di vaccino per la pertosse sono obbligatorie per tutti i nuovi nati preferibilmente entro l’anno di vita, se il vaccino anti-epatite B prevede attualmente tre dosi obbligatorie nel primo anno di vita, perché per un vaccino che ricalca procedure tecniche e margini di sicurezza del tutto analoghi a quelle di vaccini usualmente ed efficacemente utilizzati dai nostri figli e nipoti dovremmo, di fronte a un quadro pandemico senza precedenti storici, nutrire riserve concettuali?
Allora, considerando che gli studi clinici che hanno validato Nuvaxovid® hanno coinvolto una coorte complessiva di oltre 45.000 persone di età superiore ai 18 anni, si proceda con motivata sollecitudine ad allargare anche alla folta platea di adolescenti e bambini la sperimentazione del nuovo vaccino anti-CoViD per acquisire le opportune e doverose informazioni aggiuntive rispetto a quelle fin qui ricevute, al fine di predisporre un piano vaccinale che riproduca nella sostanza dei fatti ciò che nel nostro Paese, per altri percorsi di immunoprofilassi attiva obbligatoria è già realtà accettata, condivisa, universalmente e pacificamente praticata da milioni di famiglie.