06 Ott Nuovi equilibri in medicina tra ospedali e territorio
Avviare un nuovo sistema Sanità, soprattutto all’alba di una nuova era post-CoViD, è complicato e richiede un grande impegno tra ospedali e territori. In questo articolo su Nuovo Quotidiano di Puglia il Prof. Mauro Minelli, Medico Specialista in Immunologia clinica e Allergologia, approfondirà quali sono gli interventi per migliorare la gestione del Sistema Sanitario Nazionale e il futuro dell’assistenza ospedaliera.
Chiunque sia chiamato oggi ad amministrare la Sanità non può non avere contezza di un sistema complicato, difficile da controllare anche perché voce di spesa più rilevante nei bilanci pubblici.
È comprensibile, quindi, che l’analisi dei fattori di governo di tale sistema appaia prioritaria per l’intera comunità. Se guardiamo alla Sanità nel suo complesso, essa risulta da un insieme di sistemi e sottosistemi, correlati ed interdipendenti che spesso non operano secondo rapporti armonici, generando perdita di efficacia e diseconomia.
Il tutto è complicato dall’eccesso di virtualizzazione intrinseco al sistema ove spesso si ignorano i costi reali necessari alla composizione delle prestazioni e, dunque, la reale corrispondenza dei pesi (DRG).
Tentare, quindi, un’analisi approfondita del sistema Sanità, senza la coscienza di approcciare un “massimo sistema” significa avere un’idea approssimata dell’argomento per il quale, invece, sarebbe importante valutare se il tempo non sia giunto per proporre un possibile ripensamento, reso anche necessario dalla considerazione storica che il primo impianto strutturale della classificazione DRG (Gruppi di Diagnosi Correlate) risale al 1893, e che le linee guida per singola patologia, argomento trainante di decenni di propaganda sanitaria, appaiono oggi più dannose che utili.
Che fare allora per avviare un nuovo sistema di salute? Un primo urgente intervento potrebbe essere quello di portare in equilibrio medicina ospedaliera e medicina del territorio.
Proprio la pandemia dovrebbe averci insegnato che l’adeguamento delle strutture intermedie di cura, dei centri di prossimità e delle RSA è, di fatto, improcrastinabile.
L’approccio ospedalocentrico adottato nell’ultimo trentennio ha finito con il far credere, persino in seno alla stessa professione medica, che la medicina ospedaliera sia di ordine superiore rispetto a quella territoriale.
Il che è privo di senso, tanto più se rapportato all’evidente supremazia delle ragioni economiche che hanno portato a privilegiare l’assistenza ospedaliera. D’altro canto, non è un mistero per nessuno che l’industria della salute (farmaceutica, biomedicale, telemedicina) risponda assai più alle richieste degli shareholder che non ai bisogni dei malati. Ed è proprio così che si è arrivati ad affermare la “supremazia delle acuzie”, relegando in secondo piano le malattie croniche e le non autosufficienze.
Un secondo fondamentale provvedimento è quello della deburocratizzazione del sistema sanitario. E qui le domande si moltiplicano, infilandosi l’una nell’altra come in una scatola cinese.
Perché, dunque, continuare a confidare nelle attività di meri burocrati che, di fatto, non possono – per oggettive carenze formative – avere le capacità di apprezzare, valorizzare e promuovere nuovi percorsi sanitari di “presa in carico”? Perché ignorare quei protocolli pure imposti – per dottrina, per logica e per convenienza – da quelle che negli USA, già nel 2005, erano le nuove “epidemie” legate all’imponente imperversare delle “giovani cronicità”?
Siamo, ancora oggi, a fare i conti con l’etica di un sistema impostato sulla rendicontazione, sul finanziamento a prestazione.
Eppure il primo input valoriale per un sistema che si occupi di salute non può essere quello di far “quadrare i conti”; ma quello di tutelare – certamente in accorta e sapiente parsimonia – un’attività imprescindibilmente proposta e guidata dalla dottrina medica più che dall’economia, e di fornire, nel contempo, le basi per evitare che essa venga schiacciata da piani regionali, esigenze di bilancio, limiti d’appropriatezza oramai inaccettabili perché anacronistici e – questi si – diseconomici.
Per non parlare, poi, dell’evidente asimmetria tra medico e burocrate dirigente, con il primo che svolge il ruolo di “double agent” obbligato a rispondere ai pazienti e agli amministratori, e il secondo quello di “single agent” chiamato a rispondere solo all’autorità politica che lo aveva scelto.
Altra importante questione è capire come un nuovo SSN possa affrontare di petto la questione dei dilemmi etici che sempre più tendono a manifestarsi in ambito sanitario. Precondizione inalienabile per la risoluzione di questo antico e gravoso problema non può che essere la riorganizzazione di relazioni integrate e non conflittuali fra le diverse discipline che sostengono l’attività medica, il coraggioso superamento del concetto statico di formale “giustapposizione” tra reparti specialistici distinti e distanti (seppur ubicati sullo stesso piano del medesimo ospedale), e la sua sostituzione con una più rassicurante “convergenza di discipline che, pur con ambiti di ricerca differenti, finiscano per integrarsi in una prospettiva valoriale ed epistemologica unitaria” [Di Pietro, Comitato Nazionale Bioetica – 2005].
Quindi, dal semplice accostamento di pareri molteplici ed autonomi, all’appropriatezza di scelte sinergiche e condivise all’interno di un’entità operativa unica e accentrata, con conseguente abbattimento dei costi assistenziali e con l’obiettivo di perseguire il risultato più ambito: guarire gli ammalati! E pazienza se poi diminuiranno di numero i primari… gli ammalati, per primi, se ne faranno una ragione!
Tanto per trarre insegnamenti vivi dalle vicende ultime che tutti abbiam vissuto, uno degli errori più gravi nella gestione della pandemia da CoViD-19, credo sia stato quello di presumere in maniera arrogante e prepotente che fosse solo una questione virologica o infettivologica e non anche immunologica, vascolare, neurologica, insomma “medica”.
Tutto lo spettro ampio ed eterogeneo della medicina era coinvolto nella CoViD-19. Per cui, se qualcosa abbiamo imparato, proviamo ad allenare la memoria al fine di evitare il perseverare degli errori commessi e dei danni fatti. In buona fede? Si spera, ma pur sempre evitabili una prossima volta.