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Medici e meritocrazia: un punto di vista inedito sulla vicenda Galli

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Medici e meritocrazia: un punto di vista inedito sulla vicenda Galli

Data: 21 ottobre 2021

C’era un tempo – il mio (e neanche poi così remoto) – nel quale tanti di noi speranzosi giovanotti in cerca di futuro, dopo avere scrutato l’orizzonte, decidevamo, quasi sempre con motivata convinzione, di accorciare le distanze da quel futuro lungamente vagheggiato.
Erano gli ultimi anni dell’università, quelli nei quali, prima del 1987 anno della scellerata legge del numero chiuso, noi studenti della facoltà di medicina, nel “chiedere al Professore la tesi di laurea”, ci disponevamo, con l’entusiasmo baldanzoso di chi proprio non immagina quel che l’aspetta, a frequentare da apprendisti l’istituto del quale il Professore era titolare.

Pochi giorni, davvero pochi, erano sufficienti per comprendere l’entità dell’impegno molto più oneroso di quanto mai si sarebbe potuto immaginare, visto che al carico pesante degli esami ultimi incombenti ora si univa la responsabilità di un vincolo doveroso perché proiettato, ben oltre l’elaborato di tesi, agli anni prossimi venturi dell’auspicabile ingresso nella scuola di specializzazione.

E in quell’istituto, da giovani studenti, ci s’internava (era proprio il caso di dirlo) con l’obbligo non scritto della frequenza quotidiana, a costo di studiare ogni notte fino all’alba. Per poi essere, la mattina dopo, primi a guadagnarsi lo sguardo fugace ed imperturbabile di un Professore sperabilmente comprensivo e, magari, anche dotato di buona memoria.

Così passavano gli anni, nel corso dei quali di buon grado ci s’impegnava a fare di tutto: dal portantino, al tecnico allestitore di vetrini portaoggetto, al preparatore delle diapositive che il Professore avrebbe poi utilizzato in occasione del suo prossimo congresso, al selezionatore di raccolte bibliografiche utili al Professore per la sua nuova pubblicazione, al frequentatore assiduo ed immancabile del reparto, delle lezioni, dei convegni, delle sessioni di esame, di ogni luogo in cui fosse presente il Professore. C’era indubbiamente sacrificio, che avremmo poi chiamato “gavetta”, ma c’era anche la consapevolezza (o quantomeno la speranza) che quel sacrificio sarebbe stato certamente vantaggioso ai fini di una preziosa acquisizione di informazioni, conoscenze e piccoli segreti che mai si sarebbero recuperati in anni di studio, ma anche proficuo ai fini di una captatio benevolentiae utile ad accattivarsi la simpatia del Professore e una sua positiva inclinazione.

Sfido chiunque, tra i colleghi medici specializzatisi prima che l’introduzione del numero chiuso spegnesse inesorabilmente ogni autodeterminazione alla scelta consapevole del proprio futuro, a negare questa trafila faticosa ma propedeutica ad un’attività professionale maturata sul campo della costanza e dell’impegno. E sfido chiunque a negare il disappunto, la riprovazione, la delusione paralizzante che ciascuno avrebbe potuto provare se, al posto nostro atteso per anni, fosse arrivato un pinco pallo che, magari con una pubblicazione in più ma con molta gavetta in meno, avesse saltato a piè pari le nostre notti insonni, l’internato asfissiante e senza pause, la perseverante fedeltà, l’averci creduto fino in fondo.

Era l’atto dovuto che t’aspettavi dal Professore non perché te lo dovesse a prescindere, ma perché te lo eri meritato sul campo, te lo eri guadagnato, studiando la notte e lavorando il giorno per investire sul tuo futuro prossimo venturo, Quel futuro che, ora, per forza di cose doveva passare dal Professore.

Riuscireste, voi, a immaginare il contrario? Riuscireste a comprendere l’operato di chi, dopo averti visto per anni aspettare il tuo momento, dovesse scegliere un altro al posto tuo? Riuscireste a sopportare una simile inqualificabile carognata?

Ora, io non conosco i dettagli dei fatti di Milano, né le procedure del concorso del quale tanto in questi giorni si è parlato. Sarà la Magistratura a chiarire, a definire e a giudicare i fatti. Non discuto della prosopopeica attitudine all’onnipotenza di un qualche titolato; non ne discuto perché, ove si escluda la vacua fatuità della boria, ho sempre creduto che l’onnipotenza sia solo una vertigine pericolosa e fallace. Né mi permetterei mai di giustificare violazioni di leggi o passaggi illeciti o dolosi. Dico solo che quel che mi colpisce della storia, che ha in un noto docente milanese uno dei testimonial più in vista, è la facilità dello stupore che sembra animare i tanti perbenisti scevri da ogni macchia e liberi da ogni colpa.

L’invito, allora, è a leggere con doverosa attenzione e con capacità analitica priva di preconcetti, fatti, antefatti e premesse; ad evitare giudizi pretestuosi e forcaioli; a considerare che nelle righe di questa vicenda non c’è solo il mattatore diventato personaggio, ma c’è anche – e forse soprattutto – chi a quel personaggio non aveva affidato tanto l’odiosa raccomandazione, ma a lui aveva dedicato il proprio impegno, i sacrifici, il tempo, il proprio futuro.

È una storia che, proprio perché vissuta, merita attenzione, riflessione e, magari, perfino rispetto. Fino a prova contraria!



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