03 Gen Intolleranze alimentari: perchè sono diverse dalle allergie?
È un dato di fatto che una discreta percentuale di persone (oscillante tra il 5 e il 10% della popolazione) non possa godere appieno delle delizie offerte dalla gastronomia.
Dunque, è quanto mai importante riconoscere e prendere atto che il cibo, da sempre visto come fonte di vita, possa determinare, attraverso vari meccanismi, “reazioni avverse” con disturbi non solo gastroenterologici, ma anche a carico di altri organi e apparati. In particolare, piuttosto frequenti risultano essere le reazioni che gli alimenti possono generare a carico della cute, come rash orticarioidi, edemi delle labbra e/o delle palpebre, pomfi sparsi sul corpo, prurito, ma anche manifestazioni più severe come l’edema della glottide e fino allo shock anafilattico.
Ne deriva che l’allergia alimentare impedisce a determinati individui di gustare il cibo offerto dalla natura, ovvero cibi che appartengono tanto all’alimentazione ordinaria quanto alle tradizioni più attese.
In realtà, non solo alle allergie dovremmo richiamarci quando ci riferiamo alle reazioni avverse ad alimenti.
È “allergica” quella reazione immunologica anomala verso un alimento che, anche se assunto in piccolissime quantità, si verifica sempre, ogni volta che l’alimento venga ingerito. Dalle reazioni “allergiche” vanno, però, distinte quelle “pseudoallergiche”, clinicamente piuttosto bizzarre ed eterogenee, che possono verificarsi in un determinato momento della vita anche se, per molto tempo, l’alimento “incriminato” non aveva provocato alcun disturbo. Le reazioni pseudollargiche generalmente insorgono per ingestione di quantità eccessive di quell’alimento e, differentemente dalle prime, sono riconducibili a meccanismi non immunologici, potendo essere di tipo enzimatico (es. classico: intolleranza al lattosio per deficit dell’enzima lattasi); ma anche farmacologico come, ad esempio, quelle indotte da additivi contenuti in alcuni cibi; o ancora generate da amine vasoattive tra le quali spicca l’istamina. Nel nostro organismo, l’istamina viene prodotta insieme ad un enzima chiamato Diaminossidasi (in sigla DAO) che riesce a degradarla e dunque a mantenerla in quantità corrette, tali da non nuocere. Ma, se vi è una carenza primaria di questo enzima, o un suo difetto funzionale magari legato all’assunzione di alcuni farmaci, i livelli di istamina nell’organismo salgono e allora si parla di intolleranza all’istamina.
Il fenomeno sembra interessare all’incirca l’1% della popolazione generale con maggiore frequenza nelle donne di mezza età. In questi rari casi una dieta a basso contenuto di istamina può alleviare i disturbi
A proposito di istamina ed alimenti, questi ultimi possono essere distinti in due grandi gruppi:
- alimenti ricchi di istamina: alcuni formaggi, spinaci, vino rosso, birra, estratto di lievito, cibi fermentati come ad esempio i crauti, pomodori specie se inscatolati;
- alimenti capaci di liberare l’istamina dai suoi fisiologici contenitori [alcol etilico, crostacei e molluschi, cioccolata, alcuni tipi di frutta (fragole, papaya, kiwi), e poi ancora anacardi, nocciole, arachidi o mandorle.
Si tratta di anomalie in grado di avere degli effetti biologici di varia entità in diversi soggetti.
È sperabile che queste persone, invece di incappare in percorsi diagnostici e poi anche terapeutici farlocchi e, quindi, tutt’altro che fondati su principi di appropriatezza e di efficacia a garanzia della loro salute, vengano doverosamente sottoposti a valutazioni cliniche utili ad individuare e correggere il difetto di fondo.
UNA RUBRICA DI:
Mauro Minelli – docente di “Scienze tecniche dietetiche applicate” presso Università LUM “Giuseppe Degennaro” e coordinatore responsabile della sezione “Italia Meridionale” della Fondazione Italiana Medicina Personalizzata (FMP).