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Intolleranza al glutine, l’epidemia che c’è ma non si vede

Intolleranza al glutine, l'epidemia che c'è ma non si vede

Intolleranza al glutine, l’epidemia che c’è ma non si vede

Oltre un milione di italiani, dicono le stime più recenti, sono celiaci accertati. Almeno altri 500mila, ma certamente di più, sarebbero celiaci senza saperlo. Ancora più numerosi – oltre 7 milioni – sarebbero invece quelli che, nel nostro Paese, soffrirebbero di “Gluten Sensitivity” (la dicitura corretta sarebbe “Non Coeliac Gluten Sensitivity” o NCGS), patologia che riguarderebbe oramai il 15% della popolazione mondiale e che, come dice il nome, consiste in una sensibilità al glutine che prescinde dalla celiachia. Dunque, nel paese della dieta mediterranea, ad avere problemi con pizze e spaghetti sarebbe almeno il 12% della popolazione, intorno a cui fioriscono offerte d’ogni tipo – test diagnostici, diete, cibi gluten free – e giri d’affari milionari. Ma quanto di tutto questo è fondato scientificamente?

È di questo argomento che si occupa l’odierna puntata di τροφήν la prima medicina, nella quale l’immunologo Mauro Minelli, docente di dietetica e nutrizione umana presso LUM, illustra le differenze fondamentali fra celiachia e NCGS evidenziando quel che occorre sapere per non sbagliare.

La prima regola è non confondere questi due condizioni, che sono del tutto differenti.

La celiachia (2% circa della popolazione italiana) è una malattia dotata di un suo preciso assetto genetico, caratterizzata dalla presenza nel sangue di specifici anticorpi (anti-transglutaminasi e anti-endomisio) e, sul versante istologico, dall’appiattimento dei villi intestinali collocati all’apice delle cellule che compongono la parete del duodeno, primo tratto dell’intestino tenue. Tutto questo porta ad una compromissione dei meccanismi di assorbimento che, nel tempo, si traducono in importanti carenze nutritive (deficit di ferro, vitamine, altri oligoelementi essenziali). È una malattia certamente da non sottovalutare per le importanti conseguenze che potrebbe avere e che, una volta accertata, prevede un unico rimedio: l’eliminazione del glutine dalla tavola. Per sempre, pena la progressiva riaccensione del subdolo quadro clinico che alla celiachia si associa.

Nella “Non Coeliac Gluten Sensitivity”, invece, la parete intestinale non presenta grossolane lesioni della mucosa. E, d’altro canto, diversi sono i meccanismi patogenetici che, a differenza di quel che accade nella celiachia, non prevedono produzione di anticorpi ma una reazione immediata (sostenuta dalla cosiddetta “immunità innata”) al glutine, percepito come proteina nemica, con conseguenti importanti alterazioni delle funzioni di barriera e neuromuscolari del tratto gastrointestinale. Dal punto di vista clinico la Gluten Sensitivity si presenta con sintomi come gonfiore e tensione dell’addome, coliche, stipsi/diarrea, turbe digestive, ma anche con disturbi extra-intestinali (facile stancabilità; sonnolenza diurna; ridotta capacità di concentrazione e di memoria; mal di testa ricorrenti; dolori articolari e muscolari; rash cutanei; stati anemici da carenza di ferro; osteopenia e osteoporosi).

Sul piano diagnostico, dopo avere escluso la celiachia e magari anche l’allergia al grano, in assenza di biomarcatori ematici non ancora disponibili, si può credibilmente ricorrere, a riprova dell’effettivo ruolo del glutine nella genesi dei disturbi, ad un test di provocazione orale che consiste nella somministrazione controllata, in doppio cieco vs placebo, di dosi definite e crescenti di glutine al fine di riprodurre eventualmente, sotto accorta supervisione clinica,  la sintomatologia originariamente descritta dal paziente in condizioni di dieta libera.

Un ulteriore importante elemento differenziale da considerare, rispetto alla celiachia, è dato dalla soglia di tolleranza verso il glutine che, nella Gluten Sensitivity, può risultare diversa da individuo a individuo, aumentando o diminuendo (fino ad una possibile guarigione) nel corso della vita. A tal proposito, sarà utile ed opportuno prevedere un programma di riduzione/astensione e poi reinserimento graduale dei cibi glutinati.

Un programma che tuttavia, proprio per la complessità e la eterogeneità dei disturbi e per le diverse soglie di sensibilità con cui può presentarsi, non può consistere in un improvvisato “fai da te” ma deve inquadrarsi in una vera “terapia dietetica” prescritta sulla base di un rigoroso e competente accertamento medico. “La sempre maggiore consapevolezza di quanto l’alimentazione sia prima fonte di benessere e di salute ci impone anche in questo campo di trasferire le conoscenze scientifiche dalla pratica clinica alla quotidianità” spiega Minelli. “E questo vuol dire inquadrare ogni singolo caso con tutti gli accertamenti necessari e poi mettere a punto un programma alimentare personalizzato, che abbia come parola d’ordine la “modularità”. In pratica “occorre prescrivere una dieta che contenga la quantità di glutine adatta alla soglia di sensibilità di ogni singolo soggetto, e poi modificarla, con lo stesso criterio di modularità, via via che si riscontrano i miglioramenti. Un percorso che richiede tempo e pazienza, ma che soprattutto deve basarsi su protocolli validati scientificamente”.

 

UNA RUBRICA DI:
Mauro Minelli – docente di “Scienze tecniche dietetiche applicate” presso Università LUM “Giuseppe Degennaro” e coordinatore responsabile della sezione “Italia Meridionale” della Fondazione Italiana Medicina Personalizzata (FMP).

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