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Il ruolo del microbiota intestinale nei trapianti di midollo: la nuova frontiera nella lotta contro la leucemia

Il ruolo del microbiota intestinale nei trapianti di midollo: la nuova frontiera nella lotta contro la leucemia

Il ruolo del microbiota intestinale nei trapianti di midollo: la nuova frontiera nella lotta contro la leucemia

In questi giorni un bimbo di poco meno di 4 anni proveniente dalla Bosnia per essere curato da una leucemia mieloide acuta, è stato felicemente sottoposto, presso il Policlinico Sant’Orsola di Bologna, ad un trapianto di midollo cui ha fatto seguito un altro trapianto di microbiota intestinale da donatore sano.
È il paziente più piccolo mai sottoposto in Europa a trapianto di microbiota ed il secondo più piccolo al mondo.

Ma perché, in una leucemia, è stato associato un trapianto di microbiota al più canonico trapianto di cellule staminali ematopoietiche midollari?

È ben noto, oramai, il ruolo cruciale della microflora intestinale nel regolare e sostenere le funzioni del sistema immunitario, così come tante sono le evidenze che dimostrano come diversi componenti della stessa microflora possano anche intervenire nella genesi di malattie del sangue, tra le quali proprio le leucemie. Più in particolare, proprio in bambini con leucemia acuta è stata osservata una significativa diversità del microbiota intestinale rispetto a quanto rilevato nella maggioranza dei bambini sani della stessa età.

Sebbene tanto ci sia ancora da conoscere sulle possibili relazioni tra squilibri del microbiota e malattie ematologiche, i linfomi e le leucemie rimangono le principali patologie per la cui insorgenza si profila un possibile ruolo dei batteri intestinali. Ed in questo senso valutazioni preliminari, fondate su osservazioni cliniche e laboratoristiche, hanno permesso per esempio di associare alla leucemia mieloide acuta una maggiore abbondanza di batteri della specie Enterococcus faecalis, così come ai linfomi non Hodgkin è stata associata una maggiore abbondanza di batteri del genere Bacteroides unitamente ad una complessiva riduzione della biodiversità microbica, la stessa che si osserva in pazienti affetti da mieloma multiplo nei quali ad essere più abbondanti sarebbero, invece, i batteri del genere Fusobacterium.

Oltretutto, le informazioni sempre più numerose e precise che derivano dalla farmacomicrobica ci permettono di capire come la composizione del microbiota intestinale possa significativamente interferire sull’efficacia delle immuno-chemioterapie e, dunque, sulla prognosi della malattia.

Anche nel caso più specifico dei trapianti di cellule ematopoietiche midollari, l’efficacia del trapianto sembra dipendere dall’equilibrio della flora microbica intestinale che se sbilanciata, per esempio in favore di batteri del genere Enterococcus, potrebbe favorire una reazione acuta da rigetto (GvHD: Graft versus Host Disease) prodotta da un’anomala interazione tra le cellule immunitarie del donatore e i tessuti del ricevente. D’altro canto, l’attecchimento nell’organismo del ricevente delle cellule trapiantate sembrerebbe essere favorito da batteri del genere Blautia appartenenti al phylum dei Firmicutes. Pare, inoltre, che un microbiota in fisiologico equilibrio sia pure in grado di limitare sensibilmente le criticità del periodo post-trapianto supportando, in quelle fasi, le funzioni immunitarie del soggetto trapiantato.

Con questo intento, collateralmente al trapianto di cellule midollari, è stata praticata nel piccolo paziente bosniaco l’infusione di microbiota intestinale ottenuto da soggetti compatibili opportunamente selezionati. Il proposito è stato evidentemente quello di prevenire una reazione di rigetto ottimizzando così il trapianto allogenico di cellule staminali utili a ricostituire il sistema emopoietico del piccolo ricevente.

Un grande plauso va ovviamente all’equipe bolognese che ha eseguito questo intervento straordinario che, oltre ad aver scongiurato i rischi della GvHD, ha accelerato la guarigione del piccolo paziente con rapida riduzione dei sintomi della leucemia e della durata della terapia immunosoppressiva. Tutto questo certamente avvalora l’enorme potenziale che, nella gestione delle malattie complesse, hanno le strategie di ottimizzazione del microbiota intestinale da effettuarsi più radicalmente attraverso la trapiantologia, ma anche attraverso manipolazioni non invasive della flora microbica del paziente grazie a prebiotici, probiotici e misure nutrizionali sapientemente studiate e “cucite addosso” alla persona da trattare.

Ogni tentativo raffazzonato, acconciato alla meno peggio ed improvvisato secondo logiche tanto obsolete quanto fallimentari dei “fermenti lattici” dati alla rinfusa, rischierebbe solo di arrecare un danno anche di notevole entità al paziente che oggi, grazie agli avanzamenti di una branca della medicina in forte evoluzione, ha a sua disposizione un raffinato strumento di difesa per proteggersi efficacemente da patologie severe, fino a poco tempo fa ritenute poco o affatto gestibili.

È una scommessa affascinante che fortemente ci coinvolge e ci impegna e sulla quale tanto avremo ben presto da raccontare.

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