05 Ott Cambiamenti meteo-climatici e salute: come sta cambiando il panorama delle allergie
Come sta cambiando il panorama delle allergie “di stagione”
I cambiamenti del sistema climatico ormai portano a sempre più evidenti alterazioni dell’ecosistema Terra: tra queste basti pensare alla riduzione delle coperture di ghiacci e nevi, al conseguente innalzamento del livello medio del mare, all’aumentato rischio di alluvioni, alla crescente concentrazione di gas serra, al progressivo riscaldamento dell’atmosfera e degli oceani, alle ondate di calore con intensa siccità, all’aumento per numero e intensità di tempeste ed uragani.
Le previsioni ci prospettano un’Europa settentrionale inaspettatamente segnata da un clima caldo-umido che, invece, risulterà tendenzialmente secco nelle regioni meridionali del vecchio continente.
Quali sono i principali effetti del clima sulla salute dell’uomo e sulle allergie, in particolare?
Dal momento che le condizioni climatiche influenzano in maniera diretta ed indiretta tutti gli organismi viventi, appare chiaro come tali eventi, che pure l’uomo ha contribuito ad innescare, non potranno non avere ricadute anche significative sulla salute di tutti gli abitanti del pianeta, oltre che sul ciclo vitale delle piante. Sicché, proprio in considerazione di quest’ultimo punto, non è difficile immaginare come, insieme ai cambiamenti climatici, ci sarà da considerare un cambiamento della presenza pollinica nell’aria tanto in termini quali-quantitativi, quanto in termini di loro stagionalità e di conseguente ridefinizione dei calendari di polluzione che necessariamente si associano alla comparsa e alla più o meno severa intensità delle patologie allergiche cutanee ma soprattutto respiratorie.
Come incidono i cambiamenti climatici sulle allergie?
Con l’aumento del riscaldamento globale accadrà che la fase di pollinazione delle piante arboree ed erbacee “inizierà prima” e “durerà di più” con una conseguente maggiore disponibilità di allergeni pollinici aerodiffusi che potranno persistere in atmosfera per tempi decisamente più lunghi di quelli ai quali fino ad ora siamo abituati. A intervenire su questi elementi certamente critici per gli allergici è soprattutto l’innalzamento della temperatura, ma poi anche gli inquinanti atmosferici, la diffusione di nuove piante per uso ornamentale o produttivo, le diverse modalità di utilizzo e di trattamento del suolo.
Come sono fatti i pollini?
I pollini hanno un diametro inferiore ai 40-50 millesimi di millimetro e sono quindi invisibili a occhio nudo. Alcuni sono relativamente pesanti e possono essere ritrovati in un raggio di poche decine o centinaia di metri dalle piante da cui sono prodotti. Altri, trasportati dal vento, possono raggiungere grandi distanze: sono stati captati pollini capaci di produrre allergia anche su navi in navigazione a 100 Km dalla costa.
Da dove provengono i pollini?
I più importanti pollini allergenici provengono da piante erbacee (Graminacee, Composite, Urticacee) e da alberi (betulla, nocciolo, olivo, cipresso, carpino). La più ampia diffusione della sensibilizzazione a granuli “emergenti”, cioè a pollini un tempo considerati poco rilevanti dal punto di vista allergologico, oltre che all’introduzione di specie ‘esotiche’ per uso ornamentale in parchi e giardini, è legata anche e soprattutto ad una rapida espansione di nuove specie infestanti tra le quali, ad esempio, l’ambrosia.
Ci sono già evidenze circa l’influenza dei cambiamenti climatici sulle allergie da pollini?
Il primo riferimento è all’ambrosia, pianta originaria degli Stati Uniti ma in veloce diffusione anche nelle regioni settentrionali dell’Europa. Proprio nel vecchio continente, in ragione del riscaldamento globale che porta ad un sensibile allungamento dei tempi di fioritura, il polline di questa pianta si ritiene costituirà ben presto una larga percentuale della complessiva produzione aerosporologica e, dunque, dei potenziali allergici.
Anche la pollinazione del cipresso, originariamente considerata ‘pre-stagionale’ in quanto sostanzialmente concentrata in gennaio e febbraio, sta facendo registrare negli ultimi anni un deciso allungamento che sembra spingersi fino a primavera inoltrata, con conseguente incremento numerico dei pazienti che al polline di queste piante arboree si vanno sensibilizzando.
Quali altri fattori intervengono nello sviluppo di patologie allergiche legate a pollini?
Un ulteriore elemento in grado di esercitare un’importante azione di potenziamento sulla fenomenologia allergica è certamente rappresentato dall’inquinamento atmosferico che, insieme ai cambiamenti climatici, può potenziare l’azione allergizzante ed infiammatoria dei granuli pollinici. Accade così che, per esempio il polline della betulla, esposto ad elevati livelli di inquinanti in aree industrializzate, sia molto più aggressivo dello stesso polline originatosi in zone rurali potendo con più facilità indurre fenomenologia orticarica e respiratoria. È ben nota, d’altro canto, l’associazione tra esposizione ad inquinanti ambientali e aumentata incidenza di asma bronchiale.
Come si rilevano i pollini?
La rilevazione pollinica viene effettuata tramite campionatori volumetrici disposti in punti di prelievo selezionati, che aspirano l’aria in continuo, trattenendo i pollini su un vetrino ricoperto di silicone. I pollini vengono poi riconosciuti al microscopio sulla base delle loro caratteristiche e dunque contati, fornendo un dato giornaliero espresso in granuli per metro cubo d’aria aspirata. Dai dati così raccolti possono essere costruiti dei veri e propri “calendari pollinici” con i diversi andamenti stagionali durante l’anno.
Quanto è importante questo monitoraggio?
Le sempre più rilevanti variazioni delle concentrazioni aerosporologiche da un anno all’altro rendono assolutamente necessario un monitoraggio costante, tanto più in tempi nei quali la variabilità delle condizioni climatiche e ambientali può comportare l’emergenza di dati del tutto inediti rispetto allo storico. E, d’altra parte, la disponibilità di dati storici sull’andamento pollinico, correlata allo studio dei parametri climatici locali, consentono di elaborare modelli previsionali, utilizzabili anche in campi diversi dalla clinica, in particolare per problematiche legate alle attività agricole.