18 Dic A Natale panettone gourmet o industriale?
Come ogni anno, in questo periodo, si riaccende la discussione sui prezzi di pandoro e panettoni. Da una parte ci sono i prodotti artigianali e gourmet, che si attestano su prezzi sempre più elevati, giustificati dall’uso di ingredienti di alta qualità, come burro pregiato, uova fresche e lievitazione naturale, oltre che dal lavoro manuale in grado di esaltare il sapore e la consistenza di questi prodotti.
Dall’altra parte ci sono i prodotti industriali a basso costo, disponibili anche a 5 euro o meno, che puntano sulla grande distribuzione per attrarre un pubblico più vasto, ma che, contrariamente ai primi, potrebbero contenere margarina, aromi artificiali e conservanti, così risultando meno appetitosi ma, soprattutto, meno salutari. E, d’altro canto, il panettone, espressione storica della famiglia dei “grandi lievitati”, non è un dolce semplice né veloce, ma richiede esperienza, manualità e un occhio più che esperto nel capire tutte le fasi della lievitazione.
I migliori panettoni artigianali vengono lievitati grazie al lievito madre, un fermento vivo che va nutrito, curato, accudito, da cui dipende l’intera riuscita del panettone. Essendo un dolce a doppio impasto, si inizia mescolando lievito madre, farina e acqua, per poi aggiungere poco alla volta zucchero, burro e tuorli d’uovo. Se l’impasto non forma una buona maglia glutinica, non riuscirà ad assorbire burro e uova, risultando slegato. Seguono due lievitazioni di 12 e di 7 ore con aggiunte progressive di miele, uvetta sultanina, cubetti di arancia candita, cedro candito, scorza di limone e di arancia, e successiva cottura che porterà poi al prodotto finito. È così che nasce un panettone non industriale.
Tuttavia, un prezzo elevato non è sinonimo a ogni costo di qualità superiore, poiché il marketing può incidere sui costi senza corrispondere a reali differenze rispetto a prodotti più economici. Un dolce artigianale, in linea di massima, si lascia facilmente riconoscere per la complessiva qualità del manufatto e per la cura nella lavorazione, caratteristiche che difficilmente un prodotto industriale, per quanto ben fatto, potrà eguagliare. Come dire, in altri termini, che, se il prodotto industriale può rappresentare un’opzione economica e accessibile, non può allo stesso tempo offrire lo stesso valore in termini di gusto, autenticità e attenzione alla salute, elementi che generalmente caratterizzano i prodotti di pregio.
La domanda che da queste considerazioni può scaturire è se dobbiamo per forza riferirci, pur a fronte di oggettivi impedimenti economici, al canonico panettone e pandoro, o se invece non possiamo aprirci ad altre prospettive, magari perfino guadagnandoci in termini di originalità e di estro creativo. Siamo, davvero, così legati al panettone o al pandoro tanto da considerarli uniche espressioni riconoscibili delle tradizioni dolciarie di fine d’anno? O potremmo anche optare per dolci alternativi, magari legati alla stagionalità degli ingredienti o alle culture locali, concentrandoci su ciò che è davvero vantaggioso per noi e per la nostra salute ed evitando di sostenere e alimentare la “battaglia” dei prezzi di anno in anno sempre più pesante?
Il problema è culturale, indubbiamente, ma un compromesso, nel momento in cui proprio non si riesca a fare a meno del dolce natalizio più convenzionale, potrebbe essere quello di cercare produttori in grado di fornire all’utenza un buon equilibrio tra qualità e prezzo, semmai valorizzando realtà produttive locali che non rincarino eccessivamente il prezzo finale magari solo per il peso di un brand griffato.
Un’ulteriore soluzione del dolce dilemma di fine d’anno potrebbe banalmente derivare dalla semplice riflessione sul tema ‘quantità / qualità’: è proprio necessario produrre quantità smisurate di panettoni e pandoro industriali che dovranno fare bella mostra di sé su scaffali strapieni fino all’inverosimile e che poi saranno puntualmente svenduti a prezzi stracciati dal 7 gennaio in poi? Non sarebbe più logico optare, ad esempio, per una produzione più responsabile, evitando eccessi e abbattendo i costi nascosti (e ambientali) della sovrapproduzione? Si chiama consumo consapevole e si basa sulla riduzione degli sprechi alimentari, temi cruciali in un periodo di festa ma anche di grande sperpero.
La chiave, come sempre, sta nell’equilibrio: bilanciare tradizione, qualità, salute e sostenibilità senza lasciare che il prezzo diventi, del valore, l’indicatore e il decisore unico.