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Perché l’intestino è il nostro secondo cervello

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Perché l’intestino è il nostro secondo cervello

Il 44° numero di Risposta ImmunITALIA, la rubrica settimanale in cui il prof. Minelli risponde alle domande dei pazienti, è dedicato alla spiegazione della definizione dell’intestino come “secondo cervello”, e alle complesse interazioni tra l’apparato gastrointestinale e il “primo” cervello.

Perché si dice che l’intestino è il nostro secondo cervello?

Il canale intestinale è una struttura complessa, strutturalmente e funzionalmente composta da quattro componenti principali (chimica, microbiologica, fisica e immunologica), tutte insieme coinvolte nel mantenimento della funzione di barriera che l’intestino svolge fra l’esterno e l’interno del nostro organismo.

Sotto il profilo anatomo-fisiologico questo canale, che nell’adulto è lungo circa 10 metri, è dotato di una fitta rete di neuroni dislocati in quantità impressionante lungo tutto il suo decorso, per quanto soprattutto concentrati nel colon. La funzione dei neuroni enterici, in collegamento bidirezionale diretto e costante con quelli contenuti nel “primo cervello”, giustifica la definizione “The Second Brain”, che fu coniata da Michael Gershon in un suo libro del 1999, e che per diverse ragioni si arricchisce di una serie di ulteriori elementi che conferiscono all’intestino una “intelligenza” davvero raffinata.

Ma c’è correlazione tra “primo” e “secondo” cervello? Come comunicano? Che messaggi si scambiano? Chi predomina tra i due?

Al fine di garantire il regolare svolgimento delle delicate e complesse funzioni dell’apparato gastroenterico, i neuroni intestinali comunicano certamente tra di loro, ma anche e soprattutto con il sistema nervoso centrale attraverso una ricca compagine di cellule nervose che, coi loro prolungamenti assonali, formano un network fittissimo, parte integrante del cosiddetto “asse intestino-cervello”, importante via di comunicazione lungo la quale viaggiano informazioni in continuo interscambio.

Questo “traffico” è bidirezionale (per quanto i messaggi che dall’intestino si diramano verso il sistema nervoso si ritiene siano ben più numerosi di quelli che viaggiano in direzione opposta): se da una parte può spiegare una serie di turbe funzionali dell’intestino come, ad esempio, quelle che caratterizzano il quadro clinico del cosiddetto “colon irritabile” molto spesso correlato proprio a una esagerata reattività neuroenterica, dall’altra contribuisce alla costante informazione del “primo cervello”, aggiornandolo su ciò che accade nell’intestino e quindi mettendolo in condizione di modulare, per esempio, l’apporto energetico di cui l’organismo nel suo insieme può aver bisogno. Accade così che le emozioni possono modificare le funzioni del sistema gastrointestinale e, per contro, una disfunzione di quest’ultimo può incidere sulle nostre emozioni.

Tra l’altro, come già anticipato in altre precedenti puntate di questa rubrica, il “cervello intestinale” non è composto solo da un sistema anatomico complesso derivante dall’insieme di intestino tenue, stomaco e colon con le loro cellule e fibre nervose, ma anche e soprattutto da una vera e propria “intelligenza microbiologica”, che è parte di quella barriera già citata e che costituisce la grande novità della medicina odierna, purtroppo non ancora sufficientemente conosciuta e valutata per il suo inestimabile valore tanto in salute quanto in malattia.

Quali possono essere le conseguenze di un alterato interscambio tra i due cervelli? Quali anomalie possono derivare da un’interruzione di questa comunicazione?

Il collegamento tra le due entità, realizzato per il tramite di un complesso network composto da neuroni e fibre assonali che connette vicendevolmente e continuativamente il primo al secondo cervello e, per converso, il secondo al primo, non può evidentemente non sortire effetti evidenti che a tutti noi sono ben noti. A chi, per esempio, nell’immediatezza di un impegno emotivamente molto coinvolgente che si prevede debba essere particolarmente arduo e gravoso, non è capitato di lasciarsi prendere, ben oltre la soggettiva volontà, dall’urgente necessità di correre in bagno per liberare l’intestino?

La ragione di questa impellenza è legata al fatto che, nei momenti di forte tensione e di stress intenso, il primo cervello suggerisce al secondo di alleggerirsi dei pesi inutili e nocivi che potrebbero ostacolare il più facile disimpegno dall’incombenza prossima ventura e, dunque, una sua più semplice e più veloce soluzione.

Un altro esempio che evidenzia l’interazione tra il secondo e il primo cervello fa riferimento alla capacità di quest’ultimo di calibrare il giusto quantitativo di nutrienti da assimilare dopo un pasto e, dunque, di decidere la percentuale di calorie che, ad ogni pasto, l’organismo dovrà recuperare. Queste è la ragione per la quale farmaci antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici, essendo in grado di interferire sulle capacità decisionali del primo cervello, rimodulano il flusso delle emozioni che sono poi quelle che spesso decidono come gestire un pasto.

Ci sono strategie da seguire per ottimizzare la struttura e le funzioni del nostro cervello? E, se esistono, quali sono e come si attivano?

Prima di parlare del “come”, ritengo sia doveroso precisare “quando” è il momento più giusto per intervenire sulle dinamiche che portano a una corretta organizzazione strutturale e funzionale del cervello intestinale soprattutto nella sua componente “microbiologica”.

Tralasciando le modalità del parto (se vaginale oppure cesareo) e quelle dell’allattamento (se naturale al seno oppure artificiale), pure importantissime nella definizione successiva di un microbiota sano ed equilibrato, consideriamo l’impatto che una successione di eventi non proprio favorevoli può avere su un bambino, magari di età compresa fra i 2 e i 5 anni (ma anche dopo). Pensiamo a genitori che litigano in continuazione e che si dispongono a separarsi; pensiamo a un padre violento o comunque eccessivamente severo e autoritario o, per contro, a una madre troppo permissiva; pensiamo a una famiglia con serie problematiche economiche; pensiamo a un genitore in terapia per sindrome depressiva con l’altro genitore distante o disinteressato ai problemi del coniuge.

Se pensiamo a una o più delle ipotesi incluse in questo ventaglio di eventualità tutt’altro che improbabili, non possiamo non immaginare un bambino che, pur non comprendendo le ragioni delle criticità immediatamente circostanti, stia percependo l’esistenza intorno a sé di una costante e pesantissima condizione di pericolo per un qualcosa di brutto che da lì a poco potrebbe accadere.

Certo. Sono spaccati di vita che, seppur non pubblici, nell’intimità di una famiglia possono accadere. Ma, in questi casi, cosa succede al bambino? E come, nell’ottica di una corretta strutturazione del cervello intestinale, tutto questo può incidere negativamente?

Quello che in questi bambini innanzitutto accade, come conseguenza di simili eventi, è un cambiamento della composizione e della struttura e, dunque, delle performances funzionali del “cervello microbiologico”. Nel senso che intense e prolungate tensioni emotive orientate in senso negativo, agendo soprattutto sulle dinamiche della permeabilità e, dunque, compromettendo la fisiologica funzione di barriera dell’intestino, favoriscono la colonizzazione di quest’ultimo da parte di batteri “cattivi”, in quanto portatori di geni infiammatori.

Vale la pena ricordare a questo punto che, dopo quella digestiva, la seconda funzione dell’intestino è quella immunitaria se si considera che almeno l’80% delle cellule immunocompetenti albergano soprattutto nel tenue da dove poi si diffondono entrando nel circolo sanguigno.
Accade pertanto che, nel caso in cui un bambino dovesse a lungo permanere in un ambiente litigioso, ostile, difficile, egli suo malgrado finirà per dotarsi, attraverso le maglie ampie di un intestino reso permeabile da input neurologici nocivi, di un corredo sempre più corposo di batteri infiammatori, portatori di una dotazione genica anomala e che non perderà mai più.

Negli anni a seguire, nel caso in cui queste persone dovessero subire, da adulte, il peso disagevole e magari continuativo di eventi stressogeni (malattie di persone care, separazioni, incombenze e/o incomprensioni lavorative, difficoltà economiche), esse potranno risentire degli effetti di una patologica attivazione dell’immunità intestinale resa anomala proprio da presupposti microbiologici alterati fin dall’infanzia.

Esempi classici di tali premesse possono essere quelli di chi, ad esempio, sviluppa una patologia del sistema immunitario (un’orticaria, una vasculite, un diabete, una malattia demielinizzante, un’alopecia) avendo poco prima attraversato momenti intensi di stress, a loro volta capaci di riattivare un microbiota intestinale infiammatorio che quella persona aveva selezionato nel corso dell’infanzia.



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