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La frontiera della medicina di precisione nella pratica dei vaccini

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La frontiera della medicina di precisione nella pratica dei vaccini

Abbiamo superato la fase di emergenza della pandemia, possiamo quindi iniziare a ragionare sui vaccini nell’ottica della “medicina di precisione”. Sappiamo infatti che diversi fattori, tra i quali età, genere e peso corporeo, influenzano la risposta del nostro sistema immunitario ai vaccini.

Si tratta di un tema di grande attualità, che sta attirando l’attenzione dei media per le sue prospettive innovative nel campo della salute del singolo e della comunità.

Di seguito riportiamo il testo integrale dell’articolo, pubblicato sul Quotidiano di Puglia che il prof. Minelli ha scritto a riguardo.

È indubbio che i vaccini rappresentino uno degli strumenti di prevenzione più efficaci attualmente disponibili, giustamente considerati tra le maggiori conquiste in tema di salute pubblica.

Le ragioni che ne giustificano ed autorizzano la somministrazione sono certamente di carattere epidemiologico, connesse alla necessità di neutralizzare la diffusione delle Malattie Prevenibili con Vaccino (VPD: Vaccine Preventable Diseases), ma sono anche evidentemente correlate al loro potere immunogeno, dunque alla loro capacità di evocare una risposta immunitaria, oltre che alle loro indispensabili caratteristiche di efficacia e sicurezza, preliminarmente accertate dagli Enti regolatori che ne approveranno la diffusione, e poi confermate dai dati di farmacovigilanza raccolti dopo la loro somministrazione.

Alla luce di queste premesse fideisticamente accolte ed accettate, tantissimi di noi si sono convintamente disposti a praticare i nuovi vaccini anti-CoviD che, nell’ultimo anno, con prontezza straordinaria sono stati messi a punto grazie ad una ricerca scientifica efficientissima che si è potuta giovare degli studi condotti sui precedenti virus infettivi e letali (Ebola e Zika). Ora, però, in tanti cominciamo a credere che possa essere giunto il tempo di attendere che i sistemi di sorveglianza, che raccolgono i dati di farmacovigilanza sulle vaccinazioni e che indubbiamente rappresentano una fonte di informazione solida e attendibile, ci diano, com’è d’uopo, notizie chiare e univoche sull’efficacia e sulla sicurezza di questi vaccini. E questo, non perché si nutrano dubbi di alcun genere sugli straordinari benefìci che la vaccinazione fin qui condotta possa avere prodotto, ma perché potrebbe non essere sistematicamente valido, tanto più in una fase non emergenziale della pandemia, il paradigma del “one size fits all” (una “taglia unica” di vaccino valida per tutti) men che meno se considerato in un contesto sempre più orientato alla personalizzazione delle scelte terapeutiche nella logica, ormai imprescindibile, della Precision Medicine.

Grazie ad un’ampia e robusta letteratura scientifica, da tempo sappiamo che il sesso, l’etnia, l’età, il peso e dunque l’indice di massa corporea, l’eventuale concomitanza di patologie e di conseguenti terapie, perfino la via di somministrazione sono fattori in grado di intervenire sulle dinamiche di risposta ai vaccini da parte del sistema immunitario che, a sua volta, risponde ad un insieme di geni capaci appunto di modulare quella risposta. È su queste basi che, al pari di quanto è già attuabile per i farmaci con la farmacogenomica, si fonda la vaccinomica, scienza orientata alla ricerca dei substrati genetici della risposta immune nelle vaccinazioni e possibilmente del legame tra genetica e probabilità di reazioni indesiderate ai vaccini (reattogenicità).

Grazie alle conoscenze risultanti dal sequenziamento del genoma umano è stato possibile identificare anomalie di geni (Single Nucleotide Polymorphisms o SNPs) in grado di condizionare l’entità e la tipologia di risposta prodotta dal soggetto vaccinato attraverso specifici interventi sui recettori dell’immunità innata (Toll-like receptors), sui recettori per i virus, sulle citochine, sulla cascata del complemento.

Sarebbe auspicabile che il nuovo corso della sanità pugliese, certamente in grado di riconoscersi in politiche sanitarie più radicate nel territorio, possa considerare non più rinviabile l’approfondimento di queste tematiche che potrebbero fornire un validissimo supporto tanto allo studio delle basi biologiche della protezione vaccinale, quanto all’avvio di percorsi “personalizzati” anche nel campo della prevenzione delle malattie infettive, attraverso l’adozione di protocolli e strumenti sempre più disegnati sul singolo individuo. Tutto questo con indubbi vantaggi in termini di farmacoeconomia, evidentemente risultante da risparmi più che significativi sulle risorse economiche investite nelle politiche vaccinali, ma anche e soprattutto in termini di efficacia e sicurezza.



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