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La flora batterica influenza l’efficacia dei farmaci?

flora batterica e farmaci

La flora batterica influenza l’efficacia dei farmaci?

Il dodicesimo numero di Risposta ImmunITALIA, la rubrica settimanale in cui il prof. Minelli risponde alle domande dei pazienti, è dedicato alla correlazione tra efficacia dei farmaci e microbiota.

Premessa

Nella puntata n° 11 di Risposta ImmunItalia abbiamo visto come, a parità di quadri patologici, un individuo risponda ad una terapia farmacologica in maniera completamente diversa rispetto ad un altro. E abbiamo analizzato le insospettate potenzialità della farmacogenetica incluse nel grande capitolo della Medicina di Precisione. Ma, oltre a quelle già descritte, ci sono altre variabili interpersonali che possono condizionare le diverse risposte farmacologiche.

È vero che l’efficacia delle cure farmacologiche che noi assumiamo dipende dalla qualità dei batteri della nostra flora intestinale? E com’è possibile una cosa così strana?

Con la farmacogenetica oggi è possibile diagnosticare le eventuali variazioni nella struttura dei geni che, a loro volta, producono gli enzimi grazie ai quali l’uomo provvede a metabolizzare correttamente – e, dunque, a trarre giovamento – dall’assunzione dei farmaci. Quelle variazioni geniche, una volta individuate, forniscono importanti informazioni sulle differenti risposte di ciascun individuo ai vari medicamenti.

Ma oltre a queste importanti componenti, già peraltro sufficientemente note in teoria ma anche nella pratica clinica, un nuovo filone di ricerca, supportato da referenze scientifiche valide ed accreditate, va progressivamente emergendo affermandosi come “farmacomicrobica”. Il termine è di conio nuovo ed efficace perché in grado di sintetizzare la capacità del microbiota (non solo intestinale) di interagire con un qualsiasi farmaco. Ecco allora che, per quanto apparentemente strana, la notizia risulta fondata: sarebbero i batteri a decidere se, nel nostro organismo, un determinato medicamento debba funzionare oppure no.

Ci sta dicendo che esiste una correlazione tra composizione della flora batterica che abita nel nostro organismo ed efficacia o inefficacia delle medicine che noi prendiamo?

Non sono io a dirlo, ma tante prestigiose pubblicazioni di autorevoli ricercatori che confermano la possibilità che il microbiota intestinale, così come strutturato in ciascun singolo individuo, interagisca con i farmaci da quest’ultimo eventualmente assunti, alterandone le dinamiche di smaltimento metabolico fino a modificarne gli effetti terapeutici (annullandoli oppure inducendo reazioni avverse). Per cui è proprio a causa della differente composizione soggettiva del microbiota intestinale che, in certe persone, alcune medicine non funzionano affatto e in altre, invece, le stesse medicine possono produrre un qualche effetto avverso.

D’altro canto, può essere vero anche il contrario. E cioè, se io so di avere una flora batterica alterata capace di interferire sull’efficacia di una terapia pure per me particolarmente utile, correggendo la struttura del microbiota potrei ottenere la massima efficacia dalla terapia che mi è stata prescritta. Naturalmente la correzione del microbiota non può essere affidata a generici trattamenti con fermenti lattici, ma dovrà essere mirata al punto da ricreare nel soggetto interessato condizioni di equilibrio benefiche e ottimali.

Ma tutte le informazioni relative alla farmacomicrobica sono solo teorie, oppure ci sono prove fondate della interferenza del microbiota sulla capacità o incapacità dei farmaci di funzionare, non funzionare o procurare reazioni avverse?

Quel che attualmente si sa (Fonte: Cell Host & Microbe) è che oltre 100 (ma il numero e in costante progressivo incremento) sono i principi farmacologici nel cui metabolismo è stata documentata una qualche interferenza prodotta da componenti del microbiota. In particolare si è potuto constatare, per esempio, che un farmaco immunosoppressore, chiamato tacrolimus, viene influenzato nella sua efficacia dalle concentrazioni di Faecalibacterium prausnitzii. Nel senso che elevate quantità di questo batterio nell’intestino del paziente impediscono al farmaco di funzionare efficacemente. Sicché, in caso di alte concentrazioni intestinali di Faecalibacterium prausnitzii, bisognerà aumentare in proporzione le dosi del tacrolimus per far sì che questo principio attivo possa svolgere adeguatamente la propria funzione terapeutica.

Un altro esempio è quello del metotrexato, anch’esso farmaco imunosoppressore, la cui efficacia terapeutica risulta essere associata al grado di alterazione microbica soprattutto riferita alla famiglia dei Bacteroidetes.

Io ho avuto problemi prendendo la metformina che mi era stata data per un aumento di peso legato ad una insulinoresistenza. Ho dovuto sospenderla perché mi procurava coliche addominali e diarrea. Può esserci una correlazione con problematiche intestinali?

Per quel che riguarda la metformina, principio attivo abitualmente assunto da pazienti con insulino-resistenza o con diabete di tipo II, grazie a studi clinici appositamente condotti, è stata dimostrata la capacità del farmaco di funzionare più efficacemente e producendo meno effetti avversi grazie ad una maggiore presenza nell’intestino di specie batteriche produttrici del metabolita agmatina. Si potrebbe, pertanto, indagare in questo senso. Ma davvero tante sono le dimostrazioni documentate di quanto il microbiota possa influire sugli effetti dei farmaci che noi assumiamo.

Un ulteriore bersaglio dell’azione del microbiota risulta essere, per esempio, la digossina abitualmente assunta da pazienti con insufficienza cardiaca cronica. Tale medicamento, notoriamente capace di aumentare la forza contrattile del cuore, viene inibito da un enzima isolato da ceppi intestinali del genere Eggerthella lenta appartenente al philum degli Actinobacteria.
Anche il metabolismo della L-DOPA, somministrata a pazienti con morbo di Parkinson, può subire alterazioni indotte da batteri. E qui entra in gioco l’Enterococcus faecalis, nel senso che una scarsa presenza di quest’ultimo potrebbe compromettere l’efficacia della terapia.

Ed infine, a conferma del fatto che nel metabolismo dei medicinali possano anche intervenire microrganismi appartenenti al microbiota di altri distretti corporei, si è potuto documentare che il farmaco anti-retrovirale tenofovir  ha sortito effetti terapeutici molto più rilevanti in donne con elevata concentrazione di Lactobacillus nel tratto vaginale rispetto a quelle con più alti livelli di Gardnerella vaginalis.

Ma i soggetti con problemi di intolleranza a farmaci correlata ad alterata composizione della flora intestinale, sono per sempre destinati a restare così, o possono migliorare la loro condizione correggendo il microbiota intestinale?

Certo che un microbiota intestinale alterato si può e si deve correggere, per tutta una serie di ragioni che riguardano la complessiva condizione di salute di ciascuno di noi. È evidente, però, che un intervento sul microbiota finalizzato ad un riaggiustamento della sua struttura complessa e, quindi, orientato a renderlo compatibile con le diverse terapie alle quali il soggetto potrà eventualmente essere sottoposto, richiede valide strategie di analisi e altrettanto valide pratiche di ripristino di una efficace condizione di equilibrio della flora batterica (eubiosi). In altri termini, un intervento corretto sul microbiota richiede specifiche competenze traslazionali che non possono essere sommarie e generiche.

Grazie a queste conoscenze, per esempio, è stato possibile comprendere e documentare quanto elevate concentrazioni intestinali di Akkermansia muciniphila, Bifidobacterium longum e Faecalibacterium prausnitzii siano capaci di rendere efficaci, in pazienti oncologici, immuno-chemioterapie che prima non avevano funzionato. Oppure come una maggiore concentrazione di Roseburia inulivorans e Burkholderiales sp possa associarsi ad una buona risposta alla terapia in pazienti con malattia di Crohn.



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