12 Gen Il microbiota nell’infertilità e nelle strategie della procreazione assistita
L‘infertilità, definita come l’incapacità di concepire dopo 12/24 mesi di rapporti sessuali non protetti opportunamente programmati, è un disordine della funzione riproduttiva di grande impatto psicologico e relazionale, oltre che economico. Se in diversi casi, l’infertilità è chiaramente riconducibile a disfunzioni ormonali o ad infezioni o a malformazioni congenite, ad altre coppie viene diagnosticata un’infertilità “idiopatica” ovvero “inspiegabile”. Questo significa che, nonostante un’attenta analisi della funzione ovulatoria, della regolarità delle tube o dei parametri spermatici, i meccanismi sottostanti rimangono sostanzialmente indefiniti.
Ed è allora che iniziano per molte coppie infertili percorsi non facili, basati su tecniche di riproduzione assistita assai avvilenti quando non coronati da successo e dunque tristemente catalogati come RIF, cioè Ripetuti Fallimenti dell’Impianto. Per non parlare, poi, di quelle coppie che proprio infertili non sono, visto che riescono a concepire ma, dopo un tempo di gestazione variabile dalle 9 alle 28 settimane, abortiscono spontaneamente e del tutto incomprensibilmente. Tanto nell’uno quanto nell’altro caso le dinamiche generatrici del fenomeno vengono riferite ad un’anomalia dei meccanismi d’impianto dell’embrione nell’utero, magari per un endometrio reso “inospitale” da eventuali stati infiammatori o per una scarsa qualità dell’embrione o per disfunzioni ormonali e/o immunitarie o per anomalie circolatorie magari correlate ad un aumento geneticamente indotto dell’omocisteina circolante.
Ma tutto questo, basta a giustificare le cifre progressivamente crescenti dell’infertilità? E, comunque, fornisce spiegazioni plausibili della mancata fecondazione in assenza di ragioni clinicamente documentabili? E riesce a giustificare l’eventuale inefficacia delle tecniche di procreazione medicalmente assistita?
Una nutrita serie di contributi scientifici ha da tempo iniziato ad esplorare il ruolo dei batteri componenti tanto la flora microbica dell’intestino quanto quella del tratto urogenitale femminile nell’infertilità “idiopatica” e nel fallimento dei trattamenti di fecondazione assistita. D’altro canto, è ben nota l’influenza dei batteri intestinali sul sistema immunitario, sugli equilibri ormonali, sui meccanismi della coagulazione, fattori tutti fortemente coinvolti nell’impianto dell’embrione. Sicché una disbiosi può giocare un ruolo più che rilevante nel fallimento di un impianto, proprio per effetto della perturbazione quali-quantitativa della massa microbica lungo l’asse “intestinale-riproduttivo”.
Alla stessa maniera, sempre utilizzando le metodiche di sequenziamento del DNA batterico, è stata anche analizzata la struttura e la composizione tassonomica del microbiota vaginale di donne infertili e con ripetuti fallimenti dell’impianto. La disamina dei casi e il loro confronto con quanto rilevato in donne fertili, offre una serie di spunti assai interessanti che portano ad evidenziare l’esistenza di disbiosi, in verità più intestinali che non vaginali, nelle donne sterili.
Partendo dall’acquisizione di tali nozioni e mettendo al bando incompetenze ed improvvisazioni, andrebbero dunque prospettate nuove possibili applicazioni in grado di fornire efficaci strumenti diagnostici e validi protocolli terapeutici basati proprio sulla conoscenza delle complesse ed eterogenee funzioni del microbiota lungo l’asse intestinale-riproduttivo.
UNA RUBRICA DI:
Mauro Minelli – docente di “Scienze tecniche dietetiche applicate” presso Università LUM “Giuseppe Degennaro” e coordinatore responsabile della sezione “Italia Meridionale” della Fondazione Italiana Medicina Personalizzata (FMP).