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Il Long Covid non è una malattia immaginaria

Il Long Covid non è una malattia immaginaria

Il Long Covid non è una malattia immaginaria

Sia detto a chiare lettere: in questi pazienti possiamo non trovare – e spesso non troviamo affatto – segni oggettivabili (tampone, esami radiologici) di un’infezione virale in corso o di una condizione infiammatoria (PCR, VES, D-Dimero), ma questo non vorrà dire affatto che quei pazienti, dopo un’infezione da Sars Cov-2, siano psichicamente tarati o abbiano somatizzato o siano malati immaginari. Di quei pazienti, diversi continueranno a manifestare sensazione generale di malessere, turbe cognitive, astenia e facile stancabilità, dolori articolari di varia intensità assimilabili a quella che più comunemente viene chiamata “fibromialgia”, discomfort intestinale.

Fin dagli esordi della pandemia non abbiamo mai smesso di sottolineare, sul versante strettamente clinico, la valenza sistemica della malattia da nuovo coronavirus, dopo aver scartato a priori ogni ipotesi poggiata sul semplicistico sillogismo deduttivo che vorrebbe un virus respiratorio, quindi assunto attraverso le vie aeree, ‘linearmente’ responsabile di una polmonite e basta. E proprio questa visione allargata del fenomeno covid ha messo in evidenza alcuni aspetti clinici che hanno finito per rivelarsi di grande rilevanza epidemiologica e che sembrano più fortemente coinvolgere il distretto cardiovascolare.

D’altro canto che la storia della covid-19 non fosse proprio linearmente banale, ce l’avevano anche detto i cinesi, quelli di Wuhan e dintorni, che in uno studio pubblicato sul Chinese Journal of Tuberculosis and Respiratory Diseases, ci avevano parlato di una ‘tempesta citochinica’ caratterizzata da un aumento dei livelli ematici di diversi mediatori della cosiddetta ‘immunoflogosi’.

Queste citochine delle quali i medici di Wuhan raccontavano gli effetti, altro non sono se non veri e propri “segnali di comunicazione” tra sistema immunitario e cellule e tessuti dell’organismo e, in alcuni casi, sono in grado di promuovere e mantenere importanti processi infiammatori a carico di diversi organi e apparati. Figura tra questi ultimi il sistema cardiovascolare con possibile diffuso coinvolgimento dei vasi sanguigni, da quelli polmonari a quelli cerebrali, cardiaci, renali e fino ai più periferici.

E se tutto questo già di suo è sufficiente ad alterare la normale resa funzionale di un sistema capillarmente diffuso nel nostro organismo, ben più pesanti sul piano clinico saranno le conseguenze in presenza di specifici fattori di rischio cardiovascolare, come l’ipertensione, l’ipercolesterolemia o il diabete.

Nel caso delle infezioni da Sars cov-2, in un organismo in cui siano già stati attivati processi patologici a livello vascolare, un’ulteriore infiammazione generata proprio dal covid-19, può fare precipitare rapidamente la situazione, con importanti conseguenze per la salute: dall’ictus all’infarto, alle vasculiti periferiche a quelle intestinali.

Si tratta di una fenomenologia potenziale che riguarda tutte le fasce d’età, non risparmiando neanche i soggetti più giovani che siano guariti dal Covid senza apparenti complicanze immediate. Opportuno sarebbe per queste persone un monitoraggio cardiologico completo di esame delle carotidi e dell’aorta addominale nell’intento di intercettare per tempo segni eventuali di un’infiammazione cardiovascolare. Utile può anche essere ricordare la scarsa o nulla rilevanza, in questi casi, di analisi finalizzate alla ricerca di marcatori sierici di autoimmunità, perché altro è il meccanismo generatore della patologia vasculitica, per la quale molto più adeguati appaiono esami strumentali non invasivi dedicati, in grado di individuare una vasculite già in atto e procedere così ad una terapia mirata.

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