10 Nov I probiotici su misura. Scelte personalizzate nella cura delle disbiosi
È questa un’epoca della storia in cui la Scienza Medica sembra accorgersi che i trials clinici tradizionali presentano un qualche limite. È molto frequente, infatti, constatare che non tutti i pazienti rispondono in maniera ottimale ai farmaci che a loro vengono somministrati. E, d’altro canto, la risposta anomala di un certo numero di persone ai trattamenti farmacologici rafforza il concetto della variabilità umana. Questa risposta, infatti, dipende da elementi diversi, tra i quali certamente la costituzione genetica del singolo individuo, ma anche la prevalenza delle cause sensibili al trattamento, il sesso, l’età, l’etnia, la dieta, l’uso di antibiotici, lo stile e l’ambiente di vita.
Ne consegue, per deduzione logica, che le decisioni diagnostiche e terapeutiche di ciascun medico andrebbero reimpostate in modo da privilegiare la personalizzazione di ogni impianto diagnostico e terapeutico ed evitare sprechi di risorse ed eventuali effetti avversi.
Tale ragionamento, se vale in assoluto, come tale andrebbe applicato pure al trattamento delle cosiddette disbiosi, cioè a quelle condizioni che, derivando da un’alterata composizione della flora microbica, sono state considerate capaci di influenzare l’insorgenza e la progressione di diverse patologie intestinali ed extra-intestinali. D’altro canto, è stato stimato che la massa di microrganismi che abitano il tratto gastro-enterico dell’uomo comprende circa 10 volte più cellule batteriche rispetto al numero di cellule umane e oltre 100 volte la quantità di contenuto genomico (microbioma) del genoma umano.
Proprio per questo, negli ultimi due decenni, una moltitudine di studi sono stati progettati per comprendere e definire la composizione di un microbiota normale o perturbato e per procedere ad una sua precisa e corretta manipolazione, allo scopo di indurre una condizione di equilibrio microbico “eubiotico“. E una grande mole di prove continua a dimostrare che i probiotici svolgono un ruolo significativo nella composizione del microbiota intestinale, che possono inibire la colonizzazione di batteri patogeni nell’intestino, aiutare l’ospite a costruire uno strato protettivo sano della mucosa intestinale e migliorare il suo sistema immunitario. Ma, per raggiungere questi obiettivi, i probiotici vanno tutti ugualmente bene? Dando per acquisito il fatto che il meccanismo d’azione dei probiotici, di per sé piuttosto eterogeneo, sia strettamente dipendente dallo specifico ceppo utilizzato, siamo certi che utilizzare un “fermento lattico” piuttosto che un altro sia esattamente la stessa cosa? Abbiamo consapevolezza che, assumendo un probiotico sbagliato, si può potenziare il danno già di per sé prodotto da una flora intestinale malata?
Salvaguardare la nostra personale “firma microbica”, cioè quella specie di impronta digitale che, in qualche modo, condiziona le caratteristiche fenotipiche di ciascuno, significa integrare, anche attraverso opportuni aggiustamenti posologici da adattare ad ogni singolo paziente, batteri “probiotici”. Saranno questi microrganismi benèfici, che le indagini diagnostiche di precisione attualmente disponibili avranno individuato come i più adatti e proficui, a ricreare condizioni di benessere attraverso precise azioni adiuvanti sulle attività anti-infiammatoria, immunomodulatoria e complessivamente regolatoria di un ecosistema in fisiologico equilibrio.
UNA RUBRICA DI:
Mauro Minelli – docente di “Scienze tecniche dietetiche applicate” presso Università LUM “Giuseppe Degennaro” e coordinatore responsabile della sezione “Italia Meridionale” della Fondazione Italiana Medicina Personalizzata (FMP).