29 Giu Il glutine oltre la celiachia
Il 15° numero di Risposta ImmunITALIA, la rubrica settimanale in cui il prof. Minelli risponde alle domande dei pazienti, è dedicato alla sensibilità al glutine e alla celiachia: cause, sintomi e possibili terapie
Erano 600.000 persone, cioè l’1% della popolazione italiana, fino a 20 anni fa. Ora, secondo stime più aggiornate, la prevalenza della celiachia nel nostro paese risulta essere in crescita, specialmente in alcune aree metropolitane, arrivando a sfiorare il 2% della popolazione, cioè circa un milione di casi. Di questa malattia ormai si conosce tutto: cause, sintomi ed accorgimenti alimentari che bisogna necessariamente seguire per non incorrere in problemi progressivamente più seri.
Ma, oltre alla malattia celiaca, nell’uomo di quali altre patologie il glutine si può rendere responsabile?
E’ risaputo che, al di là della celiachia, esistono altri processi patologici connessi al glutine che, in alcuni casi, può evocare vere e proprie risposte allergiche con quadri clinici di allergia respiratoria e/o di orticaria, ovvero con vere e proprie reazioni di anafilassi grano-dipendente per lo più indotte da esercizio fisico (il quadro patologico si chiama WDEIA: Wheat-Dependent Exercise-Induced Anaphylaxis). E poi esiste un’altra patologia di cui ancora si conosce relativamente poco: la Non-Coeliac Gluten Sensitivity (NCGS). Che vuol dire essere “sensibili al glutine” senza essere celiaci. Una patologia che, pur colpendo – secondo stime recenti – circa 5 milioni di italiani (cioè il 6-7% della popolazione), continua a restare un po’ nell’ombra e ad essere descritta e trattata in maniera non univoca, per quanto davvero tanto, in termini di letteratura scientifica di alto profilo, sia stata sull’argomento prodotta.
Perché la celiachia e la sensibilità al glutine non celiaca (Gluten Sensitivity) hanno avuto un così forte incremento di prevalenza rispetto al recente passato?
Personalmente ritengo che siano due gli elementi che possono credibilmente giustificare questo oggettivo incremento. Intanto, sul versante clinico, una maggiore consapevolezza del danno che, in alcuni soggetti se pur non celiaci, il glutine riesce a procurare, e poi le evoluzioni subite dal glutine nel corso del tempo.
Vuol dire che il glutine è cambiato nel corso del tempo ?
Ciò che si può ipotizzare è che l’introduzione di cereali glutinati, avvenuta circa 10.000 anni fa con l’avvento dell’agricoltura, abbia prodotto, in una parte della popolazione, condizioni che hanno via via favorito l’insorgenza di patologie correlate al glutine contenuto, oltre che nel frumento, anche in orzo, segale, avena, farro, kamut, spelta. Oltretutto, nel corso dei secoli, l’agricoltura ha teso a selezionare, tra le diverse specie di cereali, le varietà con una maggiore quantità di glutine proprio in ragione della nota capacità di questa proteina a conferire, pur a fronte di un suo scarso valore nutrizionale, caratteristiche di tenacità ed elasticità agli impasti. Si è così arrivati ad ottenere semi di grano con un contenuto di glutine anche pari al 50%. Si aggiunga a questo un’attività commerciale che, a causa della crescente richiesta, induce mulini e panifici a produrre impasti facilmente e rapidamente lavorabili, addizionando alle farine notevoli quantità di glutine la cui rilevanza, nella insorgenza di specifiche patologie non limitabili alla sola celiachia, tende conseguentemente ad aumentare.
Ma, al di là del glutine in quanto tale, c’è qualcosa di “esterno” che, rispetto ad una eventuale predisposizione genetica, può indurre la comparsa di queste malattie?
Certo, alla luce delle evidenze più attuali, non è più possibile limitarsi alla constatazione lineare: “tu sei un soggetto predisposto, quindi se mangi glutine è certo che ti ammali”. C’è gente che assume glutine per decenni senza conseguenze salvo poi a sviluppare, ad un certo momento della vita, uno specifico stato patologico correlato al glutine. Così come c’è gente che, pur essendo predisposta e pur continuando a mangiare prodotti contenenti glutine, non subisce da questa libera assunzione conseguenza alcuna. Quindi c’è un “qualcosa” che va necessariamente incluso nel quadro generale del problema, un qualcosa che va cercato – a mio parere – soprattutto nella composizione del microbiota intestinale e nelle sue possibili variazioni che potrebbero compromettere lo stato di salute di un individuo e così “innescare” la malattia.
Ma quali sono le differenze reali tra celiachia e gluten sensitivity?
Molteplici sono le differenze tra i due quadri. Cominciamo col dire che la celiachia ha un suo preciso assetto genetico, è caratterizzata dalla presenza nel sangue di specifici marcatori che sono soprattutto rappresentati dagli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-endomisio e, sul versante istologico, suo elemento distintivo è l’appiattimento dei famosi villi intestinali collocati all’apice delle cellule che compongono la parete del duodeno che è la prima parte dell’intestino tenue. Nei pazienti con Gluten Sensitivity, invece, la parete intestinale non presenta generalmente mucose macroscopicamente danneggiate. E, d’altro canto, diversi sono anche i meccanismi generatori di malattia. In effetti, mentre la celiachia coinvolge quella parte dell’immunità detta “adattativa”, che consente all’organismo di rispondere in maniera specifica producendo anticorpi contro agenti percepiti come estranei e pericolosi, la Gluten Sensitivity sembra legata ad una disfunzione del comparto più ancestrale della cosiddetta “immunità innata” che determinerebbe reazione immediata al glutine, percepito come proteina nemica, e che indurrebbe marcate alterazioni delle funzioni di barriera e neuromuscolari del tratto gastrointestinale. Ulteriore significativo elemento differenziale è dato dalla soglia di tolleranza verso il glutine che, nella Gluten Sensitivity, può risultare diversa da individuo a individuo, aumentando o diminuendo (fino ad una possibile guarigione) nel corso della vita. Cosa che non è nella celiachia.
E invece sul versante clinico quali sono le differenze?
Il quadro sintomatologico della Gluten Sensitivity è certamente caratterizzato da segni clinici legati ad un coinvolgimento intestinale (gonfiore e tensione dell’addome, coliche, irregolarità dell’alvo, turbe digestive), ma anche da disturbi più generalizzati (astenia con tendenza alla facile stancabilità; torpore e sonnolenza; turbe della memoria; difficoltà di concentrazione; mal di testa ricorrenti; dolori articolari e muscolari; rash cutanei; stati anemici da carenza di ferro; osteopenia e osteoporosi).
E’ noto che la mucosa intestinale è la più ampia porta di ingresso nell’organismo di antigeni alimentari e batterici. E’ anche noto che, in soggetti geneticamente predisposti, l’anomalo passaggio di antigeni (cioè di sostanze che l’organismo non riconosce come proprie) può contribuire alla genesi di un’alterata risposta immunitaria. La compromessa funzione di barriera, che può conseguire ad una permeabilità intestinale eventualmente alterata da un’eccessiva assunzione di glutine, può rappresentare il momento critico nel promuovere il complesso dei sintomi descritti.
C’è un modo per sapere con precisione se si è affetti da gluten sensitivity?
Il primo passaggio è certamente rappresentato da un percorso diagnostico basato su criteri di esclusione. E cioè, prima di fare diagnosi di Gluten Sensitivity, va esclusa la celiachia e l‘allergia al grano. Poi, in attesa di riuscire ad identificare eventuali “biomarcatori” specifici grazie ai quali poter disporre di un test più preciso, si può credibilmente ricorrere, a riprova dell’effettivo ruolo del glutine nella genesi dei disturbi, ad un test di provocazione orale che consiste nella somministrazione, in doppio cieco vs placebo, di dosi definite e crescenti di glutine al fine di riprodurre eventualmente la sintomatologia originariamente descritta dal paziente in condizioni di dieta libera.
E’ stato precedentemente menzionato il microbiota intestinale. Che ruolo gioca nell’insorgenza delle patologie correlate al glutine?
Da quello che si può intuire – all’interno di un mondo decisamente complesso ed in fortissima evoluzione conoscitiva – qual è quello del microbiota intestinale, le trasformazioni di alcune popolazioni batteriche da componenti “amichevoli” a componenti “bellicose” possono predisporre alla insorgenza di quadri patologici connessi al glutine. Come dire che, se pur non nati per sviluppare la celiachia ovvero la gluten sensitivity, un’allergia o una malattia autoimmune, una patologia neurologica piuttosto che un tumore, esiste sempre la possibilità di ammalarsi per un potenziale “effetto critico” esercitato dall’ambiente sui nostri geni. Si parla, in questo caso, di fattori epigenetici, tra i quali il microbiota intestinale risulta essere una delle espressioni più importanti e più aggressive.
Quali le misure da adottare per un corretto trattamento della patologie correlate al glutine ?
Appare chiaro, da quanto detto finora, come Il gold-standard terapeutico per le patologie glutine-correlate non possa che essere rappresentato dall’adozione di una dieta giusta ed opportuna, possibilmente impostata sulla base di protocolli metodologici competenti e modulati sulle caratteristiche peculiari del soggetto in esame.
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