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Allergie crociate pollini-alimenti: cause, sintomi, cura

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Allergie crociate pollini-alimenti: cause, sintomi, cura

Il 35° numero di Risposta ImmunITALIA, la rubrica settimanale in cui il prof. Minelli risponde alle domande dei pazienti, è dedicato alle allergie crociate tra pollini e alimenti, con focus su cause, sintomi e cure di questo complesso fenomeno.

Non bastava l’allergia ai pollini, agli acari, al lattice, alle muffe a tormentare le persone…

È vero che i soggetti allergici ad antigeni inalabili potrebbero manifestare allergie pure verso alcuni alimenti? E, se sì, questo fenomeno da cosa è determinato? 

Gli antigeni responsabili delle comuni reazioni allergiche possono presentare, in percentuale variabile, una omologia strutturale e biochimica con altre molecole proteiche diffuse nel mondo vegetale e animale, che svolgono funzioni di natura diversa (funzioni di difesa, strutturali, enzimatiche, metaboliche …).

Tali proteine sono presenti:

  • in pollini;
  • in alimenti del regno vegetale (frutta, verdura, semi);
  • in alimenti del regno animale (latte, uova, carne, molluschi);
  • in organismi diversi (acari, lumache, scarafaggi, vermi).

In particolare, si è avuto modo di constatare che quando una molecola presenta un’elevata omologia “allergologica” con altre molecole, il paziente, oltre a manifestare una sensibilizzazione alla molecola primaria, può anche essere allergico alle molecole omologhe.

Tale constatazione ha chiarito come mai un soggetto allergico, per esempio, alla polpa della mela spesso risulti allergico al polline della betulla, pur senza avere mai avuto la possibilità di sensibilizzarsi all’albero della betulla.

In realtà il paziente potrebbe essere allergico alle proteine PR (Pathogenesis Related proteins) presenti, in alta omologia, tanto nella polpa della mela quanto nel polline della betulla.

In questo caso il paziente potrebbe essere allergico anche a tutti gli altri pollini e alimenti contenenti PR-proteins certamente presenti nel polline della betulla (molecola Bet v 1), ma anche in molti alimenti appartenenti alle famiglie di:

  • Rosacee (mela, pera, pesca, albicocca, ciliegia, prugna, susina, mandorla, nespola);
  • Apiacee (sedano, carota, finocchio, prezzemolo, anice);
  • Fabacee (fagiolo, pisello, fava, lupino, arachide, soia, lenticchia);
  • Poacee (grano, mais, orzo, avena, segale).

Tutte le persone allergiche ai pollini manifestano allergie crociate con gli alimenti? E quanto son diffuse queste allergie crociate?

No! Le reazioni allergiche crociate si manifestano solo in quei soggetti che presentino una sensibilizzazione verso allergeni omologhi contenuti tanto nei pollini quanto negli alimenti. Questo fenomeno, definito “cross-reattività” ma meglio identificato con il termine di “co-riconoscimento”, spiega come mai alcuni pazienti possano presentare reazioni anche severe assumendo alimenti allergizzanti mai prima ingeriti.

La causa di tutto questo è da ricercarsi nella “parentela” botanica tra i pollini di alcune famiglie e vari alimenti: il sistema immunitario reagisce anche alle sostanze contenute nei cibi, a causa della loro affinità con gli antigeni contenuti nei pollinici inalati.

In quanto alla loro diffusione, studi scientifici condotti sull’argomento hanno dimostrato che, su una popolazione ampia di 25mila persone allergiche, il 55% delle allergie alimentari sia dovuta proprio ad una reazione crociata fra pollini e alimenti.

Come si manifestano le allergie crociate? Quali sono i sintomi che le caratterizzano sul piano clinico, dal meno grave al più grave?

Proprio in ragione della cross-reattività polline-alimento, nei soggetti allergici, oltre alla classica sintomatologia oculorinitica e/o asmatica, possono subentrare implicazioni cliniche più particolari caratterizzate sul piano sintomatologico da:

  • prurito e gonfiore delle labbra e delle mucose all’interno della bocca;
  • sensazione soggettiva di bruciore al palato e nella gola;
  • disturbi della deglutizione.

Questi sintomi subentrano, nei soggetti interessati, pochi minuti dopo l’ingestione di alimenti vegetali più frequentemente rappresentati da alcuni tipi di frutta e verdura fresca contenenti antigeni in grado di provocare reazioni crociate con i pollini allergizzanti: si tratta della cosiddetta Sindrome Orale Allergica (SOA).

In genere, la comparsa dei sintomi respiratori e/o congiuntivali, più caratteristici dell’allergia ai pollini, tende a precedere anche di alcuni anni la comparsa delle reazioni crociate con gli alimenti. Talvolta si accompagnano a manifestazioni extra-orali e/o sistemiche (turbe gastrointestinali, orticaria, asma e shock anafilattico).

Quando consultiamo una tabella di reazioni allergiche crociate, bisogna prestare attenzione sempre e cautelativamente a “tutti” gli alimenti espressi dalle liste o il fenomeno può manifestarsi in forma diversa tra individui diversi?

Esiste sempre una peculiarità soggettiva che differenzia la tipologia e l’entità della risposta.

D’altro canto l’allergenicità di una singola proteina è legata ad una serie di variabili che oggi possono essere analizzate e correttamente identificate grazie al prezioso supporto della cosiddetta Diagnostica Allergologica Molecolare.

L’inizio della pratica allergologica coincide con la scoperta, nel 1967, dell’esistenza delle IgE specifiche nel sangue di alcuni pazienti allergici e con la successiva immissione in commercio di test basati sull’uso di estratti allergenici, cioè di soluzioni contenenti quegli elementi capaci di sensibilizzare un soggetto predisposto e, dunque, capaci di generare un’allergia.

Ogni allergene proveniente da acari, pollini, muffe, peli e forfore animali può presentare un elevato numero di determinanti antigenici o epitopi (multivalenza immunologica) e non è affatto detto che i soggetti allergici ad acari, pollini, muffe, peli e forfore animali siano tutti ugualmente sensibili agli stessi determinanti antigenici contenuti nei singoli allergeni. Ecco perché quello dell’allergia è da considerarsi sempre come un fenomeno individuale con peculiarità diverse tra soggetti pure sensibili allo stesso allergene.

E le sostanze allergizzanti son tutte ugualmente nocive? O ci sono gradienti diversi di pericolosità tra i diversi allergeni?

Molte proteine allergeniche, se sottoposte al calore o all’azione di enzimi proteolitici, come avviene durante la preparazione e la cottura dei cibi o durante il processo digestivo, subiscono modificazioni con conseguente perdita o alterazione dei loro determinanti antigenici responsabili delle reazioni nei soggetti sensibili.

Per questo, gli allergeni alimentari sono stati suddivisi in due grandi classi:

  • Allergeni alimentari di classe 1

Costituiti da proteine resistenti alla digestione e al calore, in grado di comportarsi da agenti capaci di provocare reazioni generalizzate. In questa classe troviamo, ad esempio, le maggiori proteine allergeniche del latte, dell’uovo, del pesce, dei crostacei e di alcuni vegetali.

  • Allergeni alimentari di classe 2

Costituiti da proteine non resistenti al calore e alla digestione, generalmente incapaci di provocare sintomi sistemici. Sono presenti in diversi vegetali, ma anche in alimenti di derivazione animale (proteine termolabili del latte, della carne, dell’uovo), e causano sintomi per lo più localizzati al cavo orale (Sindrome Allergica Orale) in quanto, in seguito alla degradazione a livello gastrico, perdono il loro potere antigenico.

Dunque, la pratica allergologica non si basa soltanto sulle cosiddette “prove allergiche” con le quali si testano le eventuali allergie con una serie di goccine posizionate sulle braccia del paziente? Le sostanze allergizzanti son tutte ugualmente nocive? O ci sono gradienti diversi di pericolosità tra i diversi allergeni?

Io credo, con assoluta convinzione, che quello allergologico sia stato l’ambito clinico nel quale la medicina personalizzata abbia trovato storicamente la sua prima credibile applicazione. Pensiamo alla Terapia Iposensibilizzante Specifica, quella che per lungo tempo è stata impropriamente definita vaccino antiallergico.

Certo, si partiva inizialmente dalla “prova allergica” cioè dal test allergologico tradizionale, semmai poi da verificare con ulteriori analisi che andavano eventualmente a confermare gli esiti del test cutaneo effettuato preliminarmente. Oggi la diagnostica si è ulteriormente perfezionata, perché si è arricchita di quelle metodiche molecolari che sono, di fatto, una pratica reale di “medicina di precisione”, perché consentono di andare ad individuare non soltanto, ad esempio, l’allergia tradizionale all’acaro della polvere o al polline verso il quale si può essere allergici, ma anche, all’interno del polline, la sensibilizzazione allergica verso una serie di contenuti microscopici “molecolari”, ciascuno dei quali è di per sé in grado di sensibilizzare, cioè di rendere allergico un determinato paziente.

Si dà il caso che quegli antigeni microscopici – detti “molecolari” – contenuti nel polline, possano essere contenuti in moltissimi alimenti. Esiste, pertanto, la reattività “crociata” già in precedenza citata, per cui è indispensabile conoscere i risultati offerti proprio da una diagnostica di precisione, per arrivare ad una terapia mirata più precisamente contro quel microantigene molecolare verso il quale il soggetto allergico si è sensibilizzato. E considerando che quel microantigene può essere contenuto, oltre che nel polline, anche in alimenti, questo approccio serve pure a definire uno specifico regime alimentare che il soggetto allergico sarà tenuto a seguire.

Il fenomeno della cross-reattività ha chiarito, per esempio, come mai un soggetto allergico alla pesca che contiene proteine dette LTP (Lipid Transfer Protein), spesso risulti allergico anche all’uva, alla mela o alla nocciola.

Quelli appartenenti al gruppo delle LTP sono allergeni anch’essi frequentemente chiamati in causa nei soggetti con Sindrome Allergica Orale, presenti in una grande varietà di frutti e vegetali, con identità di sequenza elevata. Tuttavia, la resistenza al calore e alla digestione nel tratto gastrointestinale permette loro di indurre anche importanti sintomi generalizzati fino allo shock anafilattico.

È sempre per queste ragioni che l’allergico alle graminacee dovrebbe fare attenzione al grano o al pomodoro o al kiwi?

Esattamente. Gli allergici ai pollini delle graminacee possono manifestare i sintomi di allergia con l’assunzione oltre che di grano, kiwi e pomodoro, anche di sedano, orzo, avena, mais, anguria, pesca, segale, melone, albicocca, ciliegia, proprio a causa del fenomeno delle reazioni crociate.

In tutti questi alimenti, infatti, son presenti molecole antigeniche simili a quelle presenti nel polline delle graminacee, che vengono riconosciute dal sistema immunitario non soltanto per inalazione ma anche per ingestione innescando, così, una risposta immunitaria con una sintomatologia molto varia – comprendente sindrome orale allergica, sintomi dermatologici, gastrointestinali, respiratori e fino allo shock anafilattico – frutto del grado di sensibilizzazione che varia da individuo a individuo.

Il discorso della reattività crociata vale solo per i pollini, cioè per gli allergeni che derivano da fonti vegetali, oppure il discorso deve essere allargato anche ad altri agenti allergizzanti? E cosa dovrebbe escludere dalla sua dieta un soggetto allergico agli acari della polvere?

I soggetti allergici agli acari della polvere devono escludere dalla loro dieta i crostacei e non solo, anche le lumache di terra e di mare e i mitili (ad es. ostriche, cozze e vongole) perché, con la loro ingestione, possono manifestare i sintomi dell’allergia.

L’allergia ai crostacei è una delle più comuni allergie alimentari negli adulti ed è spesso associata a reazioni severe. La sostanza maggiormente responsabile di tale allergia è la tropomiosina, una molecola stabile al calore ed alla digestione che rappresenta il 20% delle proteine della parte commestibile dei crostacei.

La tropomiosina può essere considerato un allergene molto diffuso negli invertebrati con alto grado di omologia e di reattività crociata tra le varie specie.

Sono tropomiosine le seguenti molecole:

  • Pen a1 (gamberetti), Par s1 (aragosta) e Chaf f1 (granchio), appartenenti alla famiglia degli invertebrati;
  • Tod p1 (calamaro), Tur c1 (lumaca) e Cra g1 (ostrica), appartenenti alla famiglia dei molluschi;
  • Der p10 (dermatophagoides Pt), Per a 7 (scarafaggio) e Bla g 9 (scarafaggio germanico).

Quindi, per il fenomeno della reattività crociata in questo caso connessa alla tropomiosina, chi è allergico agli acari della polvere (Dermatofagoidi) potrebbe avere problemi consumando gamberetti, aragosta, granchi, calamari, lumache, ostriche.

Ci sono ulteriori reattività crociate tra inalanti ed alimenti delle quali un soggetto allergico dovrebbe tener conto ed eventualmente verificare con esami dedicati al fine di escludere reazioni indesiderate?

Volendo riassumere in sintesi, si può senz’altro affermare che una quota consistente delle IgE specifiche di pazienti allergici al polline della betulla o delle graminacee o di altre erbe (tra cui l’ambrosia o l’artemisia o la parietaria) reagisce con la profilina presente nei granuli pollinici e cross‐reagisce con molte altre profiline presenti in alimenti di origine vegetale.

Tale evenienza giustifica eventuali reazioni prodotte da pomodoro, melone, kiwi o arancia, in soggetti allergici alle graminacee; oppure reazioni prodotte da gelso, basilico, ciliegia o melone, in soggetti allergici alla parietaria; o ancora reazioni prodotte da melone o banana, in soggetti allergici all’ambrosia. Così come giustifica reazioni prodotte da peperone, sedano, ananas o banana in soggetti sensibili ad Hev b 8 che è una frazione molecolare del lattice appartenente alla famiglia delle profiline, per quanto altre frazioni molecolari del lattice, tipo l’Hev b 11 o l’Hev b 2, oppure l’Hev b 5 o l’Hev b 6, possano rendersi responsabili di reazioni prodotte da altri alimenti cross-reagenti all’interno della cosiddetta Latex Fruit Syndrome.

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